Libertà o stabilità? Dobbiamo davvero scegliere tra diritti umani e sviluppo economico?
Suggestioni tematiche: Relazione tra diritti politici e diritti socio-economici / Lo sviluppo economico e la crescita produttiva sono inconciliabili con la promozione dei diritti umani e della giustizia sociale? / Luci ed ombra del discorso a due facce di molti paesi della regione, che declassano la questione dei diritti in cambio di nuovi investimenti di imprese nazionali o estere.
Obiettivo del dialogo: Come denunciare la collusione tra potere politico e establishment economico, e come favorire la diffusione di buone pratiche di promozione di modelli economici socialmente giusti e capaci di espandere le forme di partecipazione democratica.
Sintesi di Antonio Mazzeo, ricercatore e giornalista (moderatore)
Hanno partecipato: Malek Adly, avvocato egiziano, che dirige la Rete di avvocati istituita dallo Egyptian Center for Economic and Social Rights; Ilio Amisano, attivo nel movimento No-TAV valsusino e cofondatore di Etinomia, che porta avanti progetti di economia sociale e solidale; Kais Zriba, giornalista e attivista tunisino, co-fondatore di Inkyfada.com dell’ONG Al Khatt per il diritto all’informazione.
Il dialogo ha avuto come tema la relazione oggi esistente tra diritti politici e diritti socio-economici, con particolare attenzione alla regione mediterranea e a quei Paesi che hanno conosciuto la complessa e contraddittoria esperienza nota come “Primavera araba”. Purtroppo, l’implementazione dei programmi di “sviluppo economico” e “crescita produttiva” nella sponda sud della regione mediterranea non ha promosso la difesa dei diritti umani e la giustizia sociale. La corsa agli investimenti di imprese estere e/o transnazionali, oltre al depauperamento delle risorse naturali, alla concentrazione delle ricchezze nelle mani delle élite nazionali e all’impoverimento della popolazione, ha esteso la collusione tra potere politico e establishment economico, e ridotto gli spazi d’intervento e di agibilità democratica. Ciononostante, non sono mancate le buone pratiche di promozione di modelli economici socialmente giusti e capaci di espandere le forme di partecipazione democratica.
«Dopo la Primavera araba – ha detto il moderatore Mazzeo nella sua introduzione – che aveva raccolto la risposta popolare e civile in quei Paesi con aspettative di riduzione delle differenze sociali, l’implementazione di misure secondo il modello neoliberista ha fatto aumentare enormemente quelle differenze. Così, si è verificata una concentrazione di enormi risorse economiche nelle mani di poche persone. Di contro, a sempre più persone è stata negata la possibilità di accedere alla sicurezza sociale e all’occupazione, e ciò ha ulteriormente rafforzato la pressione migratoria di migliaia di persone, in particolare giovani, verso l’Europa». Per Antonio Mazzeo, «Le misure economiche neoliberiste cancellano la democrazia sostanziale».
«Quattro anni dopo, quel sogno di una “rivoluzione democratica”sulla sponda sud del Mediterraneo è svanito sotto la violenta repressione da parte dei regimi, degli eserciti e dalle forze di polizia nazionali, anche con il sostegno dei governi europei e dell’amministrazione Usa» ha ricordato Malek Adly, che fornisce assistenza legale alle vittime delle violazioni di diritti umani in Egitto. «È terribile doversi trovare dinanzi alla scelta tra stabilità e libertà» ha spiegato il giurista. «Prima che di stabilità, occorrerebbe parlare di indipendenza e di libertà. Tra stabilità e libertà, in ogni caso, c’è da scegliere la libertà come primo obiettivo da perseguire. La nostra non è una nazione libera da qualsiasi punto di vista, e per noi la cittadinanza non è accessibile. In Egitto, non si può parlare di diritti né sociali, né civili. Non si può parlare di sicurezza quando ci sono corruzione, brogli elettorali e non si è liberi di poter eleggere il proprio presidente. Ed una cosa paradossale che il governo italiano stia supportando il regime egiziano» ha aggiunto.
Altrettanto gravi le violazioni dei diritti umani e pesanti le limitazioni alla libertà d’espressione in Tunisia, Paese mediterraneo che, dopo la “rivoluzione” del 2011 e la fine del potere di Ben Ali, è guidato oggi dal presidente Essebsi. «In Tunisia, gli attivisti, gli intellettuali e gli oppositori soffrono come i nostri fratelli dell’Egitto» ha denunciato con amarezza Kais Zriba. «Secondo le statistiche, in Tunisia è stato rilevato che l’un per cento della popolazione è adesso in prigione, anche grazie alla strumentalizzazione sul fronte interno del terrorismo e della serie di sanguinosi attentati che hanno investito il Paese». Anche per Kais non è possibile ritenere che la stabilità o lo sviluppo economico abbiano concorso nell’ampliamento degli spazi di democrazia. «Credo che per la cittadinanza sia pericoloso parlare di stabilità senza poter conoscere il vero significato della libertà» ha dichiarato il giornalista tunisino. «E, comunque, la stabilità non riguarda solo l’aspetto economico, ma anche la stessa sicurezza dei cittadini. Sotto questo aspetto, in Tunisia paghiamo un grosso deficit in tema di diritti, libertà e sicurezza».
Accanto agli ospiti dell’Africa mediterranea, ha partecipato al dialogo il torinese Ilio Amisano, attivista No-TAV, vero e proprio “laboratorio” di lotta in difesa del territorio e dei principi democratici, e presidio a difesa di spazi di cittadinanza. «In Val di Susa, la gente si è accorta col tempo che la propria libertà è limitata, e che nel territorio ha perso anche il diritto alla protesta» ha dichirato Amisano. «La stabilità, come è stata intesa e imposta dai poteri istituzionali, ha significato controllo sociale e non certo stabilità e promozione economica. Tra la concezione dominante di sviluppo e i diritti, le comunità devono scegliere sicuramente i diritti. Lo sviluppo fine a se stesso non vuol dire nulla; ciò che serve è la sostenibilità economica, dove anche il denaro è distribuito in modo equo fra tutti. La Val di Susa fa paura all’Europa anche perché è un esempio di comunità che mette in discussione internamente il modello neoliberista».