Né in nome di dio, né dello stato: potrà una solidarietà trans-mediterranea salvarci da nazionalismi e fondamentalismi?”

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“NÉ IN NOME DI DIO, NÉ DELLO STATO: POTRÀ UNA SOLIDARIETÀ TRANS-MEDITERRANEA SALVARCI DA NAZIONALISMI E FONDAMENTALISMI?”

Moderatore: Rita Fulco, filosofa, Università di Messina

Intervengono:

Mohammad Tolba (EG): fondatore del movimento Salafiyo Costa, che dalla Rivoluzione del 2011 raccoglie salafiti, cristiani e non praticanti nella soluzione di scontri interreligiosi, per la giustizia sociale e i diritti di cittadinanza e nella denuncia della propaganda di divisione identitaria.

Suor Elisa Kidané (ERI-ITA): suora comboniana, scrittrice e poetessa, si definisce “eritrea per nascita, missionaria comboniana per vocazione, cittadina del mondo per scelta”. Già responsabile del notiziario della rivista Femmis, dal 2011 cura su Nigrizia I colori di Eva, rubrica che ospita racconti di numerose scrittrici di origine straniera.

Citando Abramo, Messia di tutte le tre religioni monoteiste, la moderatrice Rita Fulco apre il dibattito per ricordare che “dobbiamo allontanarci dalla difesa identitaria di tutto ciò che sembra intoccabile e provare invece a lasciarci contaminare e penetrare dagli altri”: solo così potremo creare una reale cittadinanza mediterranea ed imparare dalle esperienze dei relatori, per capire come agire senza farsi dominare né dal fondamentalismo religioso, né dal laicismo estremo di alcuni governi. Alla prima domanda “cos’è la cittadinanza mediterranea per te e come si può costruire?” Mohammad Tolba, attivista egiziano salafita e imprenditore nel campo dell’informatica, presenta il movimento sociale Salafyo Costa, di cui è fondatore, e che riunisce al suo interno attivisti con differenti retroterra culturali, religiosi, ideologici ed etnici, proprio perché, non essendoci in Egitto un clima di pace tra cristiani e musulmani, ha voluto creare un gruppo che riunisse tutte le diversità. Lo ha fatto anche attraverso eventi pubblici, come una partita di calcio, dove si smette di indossare una maschera e ci si fa vedere per quello che si è realmente: “Solo al momento della morte siamo tutti uguali. Dobbiamo accettare le nostre diversità attraverso il dialogo e l’attività sociale” commenta Mohammad. L’azione del suo movimento si concentra sull’incontro reale tra le persone a partire proprio da eventi concreti, che non convergono inevitabilmente su questioni “calde”, ma su attività anche ludiche, da svolgere insieme. “We don’t have to force people to love each other. Non dobbiamo forzare le persone ad amarsi” sottolinea “ma dobbiamo puntare sul rispetto e l’uguaglianza”. Suor Elisa Kidané, suora comboniana, scrittrice e poetessa, ci parla del Dio della vita, l’unico, il Dio della pace, che non è quel dio che abbiamo creato a nostra immagine e somiglianza. Fintanto che ognuno di noi tiene stretto a sé il dio che si è creato a sua immagine e somiglianza non ci sarà pace, perché “Dio non appartiene a nessuna cultura”, anche se “un frammento del suo essere è presente in ognuna di esse”. Suor Elisa continua descrivendo l’essere umano come assetato di potere, e lo stato di diritto come paravento che nasconde questa sete e crea quei muri che ci dividono e che ci fanno credere che ci siano esseri superiori e inferiori. Qui si riavvicina a Tolba, affermando che solo nel dialogo e nell’incontro possiamo trovare il cammino per creare una cittadinanza mediterranea, sforzandosi di trovare quello che ci unisce invece di concentrarsi nel creare barriere che ci dividono. Rispondendo alla domanda: “Come creare un movimento dal basso che porti verso l’integrazione nel Mediterraneo?”, Suor Elisa sostiene che dobbiamo liberarci dall’arroganza che ogni popolo ha di credere in un dio proprio e liberarci dalla presunzione di appartenere a culture superiori. Dobbiamo vedere nel Mediterraneo “la culla di svariate culture”, dove nessuna è superiore all’altra. Dobbiamo dare più attenzione al linguaggio riprendendo alcune parole, ormai connotate dall’uso fatto all’interno delle strutture di potere, e dar loro un nuovo significato alla luce di una possibile cittadinanza mediterranea. Porta ad esempio la parola “solidarietà”, oggi di gran lunga superata e fraintesa, in nome della quale sono stati fatti tanti soprusi e ingiustizie, e propone di sostituirla con la parola “sinergia”, per la quale nessuno è superiore all’altro, e in cui ognuno dona sempre qualcosa all’altro. “Bisognerà, in nome di Dio questa volta, disarmare i cuori, le menti, le mani, avere il coraggio di deporre le armi e fermare le fabbriche delle armi. Chi oggi ha il coraggio in nome di Dio e dello stato sovrano d’impedire il commercio delle armi, chi si oppone all’invio di materiale bellico in nome della pace?” si interroga ad alta voce Suor Elisa. Secondo i due relatori, gli attivisti del Mediterraneo possono contribuire a creare uno spazio di pace e libertà solo superando lo stereotipo “fratelli-nemici”. Solo cominciando a riconoscerci tutti come colpevoli e vittime, potremo salvarci da fondamentalismi e nazionalismi. Ovvero, nelle parole di Suor Elisa: “Quando cominceremo a riconoscerci semplicemente umani, creature, quando capiremo che la violenza genera solo altra violenza e terrore, quando smetteremo di sentirci superiori o inferiori, quando smetteremo di discriminare l’altro solo perché differente”. Suor Elisa continua affermando che non possiamo incolpare Dio per le nostre di colpe: siamo noi gli autori della nostra stessa distruzione, e solo prendendoci le nostre responsabilità e dialogando tra noi potremo costruire un mondo nuovo dove regna la pace. Anche Mohammad riprende il discorso indicando come soluzione il confronto e l’incontro attraverso eventi semplici, poiché la maggior parte della popolazione è analfabeta e per raggiungerla dobbiamo creare momenti di “conflittualità costruttiva”, in cui ciascuno sia libero di sentirsi se stesso. In un mondo dove la religione diventa facilmente business, continua Mohammad, per poter arrivare a riconoscerci uguali, l’umanità ha bisogno di cercare le similitudini che accomunano le persone e lasciare alle spalle la sete di potere e denaro, per dare spazio alla conoscenza dell’altro, promuovendo la conoscenza della cultura, delle tradizioni e dei costumi di ognuno.