Io sono colei che ha girato il rubinetto
Moderatrice: Daniela Irrera, Università di Catania, membro di Assemblée des Citoyens de laMéditerranée – Reggio Calabria
Intervengono:
Chaimaa Fatihi (MAR-ITA): studentessa di giurisprudenza, è responsabile per le Relazionipubbliche dell’Associazione Giovani Musulmani d’Italia; collabora con l’associazione ONSUR-Italia(Campagna Mondiale di Sostegno al Popolo Siriano), e con il progetto Child Again.
Marta Bellingreri (ITA): fondatrice dell’associazione Di.A.Ri.A. e autrice di “Lampedusa.Conversazioni su isole, politica, migranti”, ha lavorato come mediatrice culturale per minori nonaccompagnati. Ha partecipato al film documentario “Io sto con la sposa”, recentemente presentato alfestival di Venezia.
Sara Borrillo (ITA): ricercatrice dell’Università L’Orientale e del Forum per i Problemi della Pace edella Guerra della Regione Toscana, autrice di numerose indagini su genere e democrazia nei Paesiarabi, in particolare sul movimento marocchino del 2011 “20 Febbraio”.
Video della giornalista Cristina Mastrandrea (ITA): “La primavera siamo noi” (2013), sulle donne tunisine.
Sara Borrillo racconta di come, con gli eventi del 2011, tutta la regione delNordafrica/Medioriente si sia mobilitata, anche se con accenti diversi e con un grande eterogeneità, nella complessità dei diversi movimenti emersi. Parlando del Marocco, Sara segnala che le donne sono quelle che tuttora subiscono maggiore discriminazione in ambito lavorativo, ed hanno difficoltà ad affermarsi nello spazio pubblico e privato, poiché persiste una mentalità patriarcale, un uso strumentale dell’Islam, pur non essendo questo di per sé discriminatorio nei confronti dell’universo femminile, ed è molto radicato il cosiddetto “Statuto familiare”. Il Marocco è un Paese in cui il re ha potere temporale e religioso. Il movimento del “20 Febbraio”, composto da attivisti appartenenti a differenti gruppi politici e religiosi, spinti dall’ondata di mobilitazione tunisina e egiziana, aveva come obiettivo quello di modificare quel sistema corrotto e gerarchizzato e di dare voce alla parte di popolo che non ha accesso al welfare. Due sono le prospettive, secondo Sara, da cui analizzare il movimento: quella generazionale, perché è stato un movimento transgenerazionale, e quella di genere, perché è stato il genere un elemento di frattura non solo tra gli attivisti dell’Islam politico, ma anche tra quelli della sinistra radicale e progressista. Nel nuovo testo costituzionale, ad esempio, è stato previsto un nuovo articolo sull’uguaglianza di genere, l’art. 19. Questo, era sostenuto dai gruppi femministi, ma il blocco progressista del “20 Febbraio” si era manifestato contro questa rivisitazione della Costituzione a causa della modalità con cui si era sviluppata, per loro poco democratica. Passata la riforma costituzionale con il 95% di “sì” al referendum, i gruppi femministi si richiamano ora all’art. 19 per fare opera di formazione e sensibilizzazione. Di fatto, gli ostacoli sono ancora molti per le donne: se in Costituzione c’è il principio di uguaglianza tra i generi, nel codice di famiglia siamo ancora indietro. Dopo il 2011, Sara ricorda che sono nate molte associazioni al di fuori di quelle tradizionali, che protestano in maniera alternativa (usando ad esempio il teatro o strumenti audiovisivi). Anche i gruppi secolari di femministe hanno voluto, attraverso questi mezzi, liberarsi dello stereotipo delle “elitarie francofone” e avvicinarsi maggiormente alle questioni sociali ed economiche del quotidiano. Marta Bellingreri parla invece, insieme a Cristina Mastrandrea, delle donne tunisine e dell’evoluzione della società civile e dei movimenti dopo il 2011. Marta sottolinea che dal 2011 ad oggi sono più di 5000 le nuove associazioni nate, che hanno come parola-chiave quella di cittadinanza. La prima necessità è dunque quella di ascoltare un coro polifonico, ovvero ascoltare le mille voci che esistono tra le donne tunisine che si sono imposte contro il vecchio “femminismo di Stato”. Ci sono le blogger, le militanti femministe e le nuove voci; a loro volta, queste realtà nate dopo il 2011 sono una porta su un universo che prima era invisibile, un universo che sta fuori dalla Capitale. La rivolta ha fatto sì che tutte le singole persone che prima non erano associate si associassero informalmente (com’è successo ad esempio per le madri dei tunisini dispersi in mare). Tutte queste realtà di donne così diverse ci fanno vedere la situazione come un vero e proprio mosaico. Sugli aspetti costituzionali, Marta ricorda di come, nel 2012, tantissime donne tunisine siano scese in piazza per protestare contro la bozza di decreto legge che inseriva nella costituzione un articolo che dichiarava la donna come “complementare all’uomo”, piuttosto che uguale. Da qui, la definizione che adottarono le nuove militanti di essere “complementari tra loro, non all’uomo”! Questa nuova generazione di militanti trasforma la differenza tra i vari gruppi femminili in forza, in un valore aggiunto. È una complementarietà che ci parla di “ identità multiple”, dove i rapporti di genere non vengono più guardati in maniera discriminatoria, ma le differenze sono tutti tasselli di uno sguardo transezionale, che tira fuori la multiformità dell’associazionismo di impegno civile. Con la Costituzione del 2014 (art. 20-45-33), conclude Marta, si è arrivati ad una maggiore partecipazione della donna come cittadina, cercando di rendere questi articoli effettivi e non solo di facciata, per un cambiamento sostanziale. Chaimaa Fatihi, italiana di origine marocchina attiva nell’associazione dei Giovani Musulmani d’Italia, parla invece della sua esperienza a contatto con le donne siriane ed affronta la questione del laicismo, cavalcata a suo parere in Siria in maniera errata: le donne sono scese in piazza durante la rivoluzione per dire “basta al regime”, un regime che pur dicendosi “laico” comprimeva la libertà femminile, sia della donna musulmana che cristiana. Per le seconde generazioni italiane, queste primavere mediterranee sono state invece importantissime, perché hanno posto l’attenzione sulla conquista delle libertà fondamentali del proprio Paese d’origine, invogliando molti e molte giovani a partecipare anche in prima persona alla lotta per le libertà in quei Paesi. D’altro lato, questa partecipazione delle seconde generazioni ha fatto aprire gli occhi sulla situazione dei diritti anche in Italia, perché nel momento in cui ci si batte per le donne nel proprio Paese d’origine, non si può non combattere i pregiudizi che in Italia attanagliano le donne musulmane. Vi è una forte discriminazione per chi porta il velo o per l’appartenenza ad una cultura differente, che rende difficile l’accesso al mondo del lavoro. Il ruolo delle ragazze di seconda generazione è dunque fondamentale, perché possono essere il ponte tra due, e spesso anche più culture, con la consapevolezza che i problemi che si vivono in Italia sono gli stessi vissuti dall’altra parte del Mediterraneo. Per concludere, alla sollecitazione della moderatrice di individuare una o più parole-chiave che definiscano il tema della cittadinanza mediterranea, Marta parla di un “coro polifonico” delle donne del bacino del Mediterraneo, ed evoca le due dimensioni sempre presenti nella vita delle donne dello “spazio tra intimo e pubblico”, binomio antico che va superato. Sara riprende invece la questione della mobilità, ovvero l’idea di mobilità nazionale e mediterranea: “Non si può parlare di cittadinanza mediterranea senza la possibilità di potersi muovere in questo mare”, dice Sara, sottolineando la necessità di fare pressione sui nostri governi per rivedere le regole dei visti. Chaimaa evoca, infine, il rispetto delle individualità ed il dialogo, fra le dimensioni della cittadinanza mediterranea, mentre per Cristina Mastrandrea la parola-chiave è “resistenza”.