Attivismo media-terraneo: quali strategie per un’informazione indipendente dopo le rivoluzioni?

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“ATTIVISMO MEDIA-TERRANEO: QUALI STRATEGIE PER UN’INFORMAZIONE INDIPENDENTE DOPO LE RIVOLUZIONI?”

Moderatrice: Pamela Cioni, responsabile comunicazione COSPE

Intervengono:

Esraa Abdelfattah (EG): ha giocato un ruolo centrale nell’occupazione di piazza Tahrir del 2011. Nel 2008, fondò, il gruppo Facebook “April 6 General Strike Egypt” che promuoveva una giornata di disobbedienza civile per i lavoratori. Candidata al Nobel per la Pace 2011, collabora ora con la Egyptian Democratic Academy e scrive per il giornale El-Youm7.

Nathalie Galesne (FRA): fondatrice di Babelmed.net la prima rivista online delle culture mediterranee, che rompe barriere mentali e smaschera pregiudizi, con una rete di corrispondenti nei principali Paesi del Mediterraneo, scelti per la loro indipendenza e conoscenza della realtà sociale e culturale.

Obiettivo di questo dialogo è capire come valorizzare il ruolo dei media indipendenti e della società civile dopo il 2011, mettendo in rete le esperienze presenti ed attive nei Paesi del Mediterraneo, come costruire quindi una cittadinanza mediterranea dalla prospettiva dei media. Il primo punto riguarda l’indipendenza dei media tradizionali: per avere davvero dei media liberi e indipendenti, è necessario un quadro legislativo che garantisca questa indipendenza. Esraa Abdel Fattah descrive una situazione per l’Egitto ancora di transizione. Esiste una nuova costituzione con articoli molto buoni, ma questi non sono stati ancora resi legge perché manca un parlamento. Secondo Esraa, dovrebbe essere costituita una “commissione dei media” libera ed indipendente dal governo e da interessi privati, composta solo da chi lavora nei media. I passi per assicurare l’indipendenza dei media tradizionali in Egitto dovrebbero dunque essere: l’affermazione della costituzione e dei suoi articoli, l’adozione di leggi-quadro che si ispirano a questi articoli, la creazione di una commissione indipendente, e quell’indipendenza economica che garantisca la libertà degli operatori del settore. Senza questo quadro, i giornalisti subiranno sempre la censura. E questa è secondo Esraa una grande sfida per i media in Egitto di questo momento. Il dialogo si sposta poi a parlare del tema del Citizens’ Journalism: giornalismo, attivismo o entrambi? Secondo Esraa è necessario decentralizzare al massimo l’informazione, dare voce “da dentro” i Paesi e non lasciarla in mano ai governi e/ o ai corrispondenti stranieri. Quindi ben venga il citizen journalism. Nathalie Galèsne, che nella rete dei corrispondenti del portale “Babel med” ha preferito negli anni avvalersi di scrittori, intellettuali piuttosto che attivisti perché “anche laddove manca libertà di espressione e associazione, la voce culturale riesce ad avere più penetrazione e a sfuggire alle maglie dei controlli. Più di quella degli attivisti dichiarati” parlando del citizens’ journalism riconosce che in aree di conflitto o in Paesi sotto dittatura le voci dal basso sono necessarie, ma il giornalismo è un mestiere: è questione di saper fare, di risorse e strumenti, di possibilità di fare inchieste. Affidarsi solo a una forma militante è a volte rischioso e si ritorce contro la stessa informazione. Il Citizens’ Journalism è molto importante dove non esiste libertà di stampa, ma non possiamo affidare solo a questo tipo di attivismo l’informazione. Piuttosto, questo tipo di informazione deve informare e influenzare i mainstream media. Possono essere i social media alternativi ai mainstream media? Di fronte a questo interrogativo, Esraa sottolinea l’importanza dei social media in Egitto, dove esistono sin dal 2004. I social media hanno coperto notizie e fatti di cui non si parlava altrove. Hanno reso noto al gran pubblico cose sconosciute. Sono stati un modo di creare consapevolezza nella popolazione. Per esempio, sono stati i prima a raccontare i soprusi della polizia. L’altro ruolo importantissimo dei social media è stato il loro potere di mobilitazione, la capacità di far partecipare le persone a eventi reali, ai primi scioperi e alle prime grandi manifestazioni. Inoltre, i social media hanno incentivato molto lo scambio di esperienze tra i Paesi del Mediterraneo. Dopo le Rivoluzioni del 2011, anche i governi e le istituzioni sono entrati su facebook, hanno dovuto prendere atto nel bene e nel male (per aprire un dialogo ma anche per controllare) dell’utilizzo dei social network, sui quali il linguaggio più utilizzato per fare controinformazione, in particolare in Egitto, è la satira. Nathalie ricorda invece che esistono progetti importanti, innovativi, di successo e all’avanguardia che uniscono le esigenze della società civile al giornalismo (ad esempio attraverso gli strumenti del’infografica e del videogiornalismo), e che dobbiamo sostenere e divulgare. La comunicazione “politica”, secondo Nathalie, sebbene ci permetta di condividere e mobilitare le persone, non può sostituire il giornalismo “classico”. D’altronde, la contaminazione tra social media e media mainstream è possibile, e i media mainstream non possono più ignorare ormai quello che accade in rete. Spesso, vanno a pescare le notizie proprio da lì. Si tratta di strumenti diversi, ma la relazione e la connessione tra questi due tipi di media è fondamentale, anche se i target sono molto diversi. In queste realtà, esistono anche i media cosiddetti comunitari, che rappresentano una risposta alla questione del non-accesso ai media tradizionali. Mancano tuttavia leggi che riconoscano i media comunitari, mezzi di comunicazione gestiti dalle comunità – e non parliamo solo di web radio e di web tv, ma la possibilità di accesso da parte di associazioni o soggetti privati e/o comunitari alle onde radio e tv tradizionali,occupati dai media mainstream. Per questo, ben venga una rete, continua Nathalie: è un modo per costruire l’identità mediterranea transnazionale. A proposito del concetto di cittadinanza mediterranea, le relatrici lo definiscono “un’utopia, di cui però abbiamo bisogno”. Nathalie parla della creazione di una carta comune sui diritti di mobilità e di accesso a salute, lavoro e informazione, soprattutto per il Sud del Mediterraneo che ne è privo. Le parole d’ordine sono “connessione, complessità e utopia”. La cittadinanza mediterranea richiederebbe, secondo Esraa, di imparare, avere un linguaggio comune. Secondo Esraa e Nathalie,infine, dobbiamo chiarire alcuni presupposti: “Perché abbiamo bisogno di una cittadinanza mediterranea? A quali bisogni risponde?”. Abbiamo bisogno di una piattaforma regionale per stare uniti e per scambiarci esperienze. Dobbiamo trovare un modo di incontrarci, e non solo virtualmente. Dobbiamo rimanere aggiornati e capire come ci possiamo sostenere l’un l’altro, come declinare la nostra solidarietà. Lo abbiamo visto dalle rivoluzioni: è importante scambiare esperienze. Dobbiamo trovare una forma per questo: un sindacato? Un’associazione? O qualcosa di nuovo? Come vogliamo raggiungere questa cittadinanza mediterranea e darci un piano? Le parole-chiave scambiate tra le relatrici e la moderatrice sono: reti, vicinanza, obiettivo comune, contaminazione, incontro.