I movimenti sociali dopo il 2011: correre per il potere o stare fuori dal Palazzo?
Suggestioni tematiche: Potere sì, ma restando in piazza / Quale contro-egemonia? Quale cooperazione tra movimenti sociali per prendere il potere? / Guardare oltre l’Occidente come modello politico ed economico di riferimento
Obiettivo del dialogo: Come rendere i movimenti sociali protagonisti del cambiamento politico ed economico nella regione mediterranea, creando un contropotere duraturo ai modelli di sviluppo neoliberisti propugnati
Sintesi di Fabio Laurenzi, COSPE (Moderatore)
Hanno partecipato: Thameur Mekki , media attivista tunisino, Consulente Nazionale per UNICEF Tunisia, giornalista presso www.nawaat.org, blog curato da vari giornalisti indipendenti sui temi della democrazia, della trasparenza e della buona governance, e collaboratore al progetto L’Orient XXI (via Skype); Igor Sticks, scrittore croato, produttore artistico e promotore di Subversive Festival, festival annuale internazionale di critica sociale e militanza politica e culturale. Ssta attualmente svolgendo la ricerca “Citizen-Artist: Creative Citizenship in Occupied Spaces”, che vuole esplorare l’interazione tra occupazioni di spazi pubblici, forme inventive di autogoverno e espressione artistica; Alberto Tena, membro del Segretariato Politico di Podemos; Fabio D’Alessandro, attivista del movimento NO MUOS che si batte per lo smantellamento delle infrastrutture militari statunitensi di telecomunicazione presenti sul suolo siciliano.
Thameur Mekki, in collegamento via Skype, ha affrontato il tema partendo dall’esperienza della Primavera Araba nel suo Paese, la Tunisia. L’attivista ha sottolineato come la transizione democratica sia ancora in corso ma anche che la fase post-rivoluzione sta rivelando alcuni aspetti negativi, come la repressione da parte della polizia delle libertà di stampa e di pensiero e la cooptazione della società da parte delle istituzioni, con il relativo rischio di eliminare ogni tentativo di costruzione di un’alternativa al potere costituito. Per Mekki occorre sottolineare i molti punti di contatto tra i movimenti tunisini che hanno dato vita alla rivoluzione e i movimenti degli Indignados; l’invito quindi è ad una lettura critica di questi fenomeni che guardi al Mediterraneo nel suo complesso, concentrandosi in particolare sulla distanza tra la politica dei partiti (vecchi e nuovi) e quella dei movimenti. Proprio la primavera araba e l’ondata dei nuovi movimenti (Occupy, Indignados e poi le articolazioni politiche di Syriza e quindi Podemos) hanno fatto emergere tutta l’‘inadeguatezza’ dei partiti rispetto ad una realtà politica in costante evoluzione, in quanto essi si fanno propugnatori di obiettivi di conservazione di un potere oligarchico. Questi partiti non solo non hanno arginato, ma hanno contribuito ad aggravare il vuoto sociale che ha sottratto spazi di vita, diritti, futuro alle giovani generazioni. Tale situazione è stata poi acuita dalla crisi economica globale che proprio in paesi come la Tunisia e nell’Europa meridionale ha espresso i suoi effetti più gravi e discriminatori. Secondo Mekki, è necessario quindi sostenere una critica anticapitalistica e di riforma radicale dei modelli di democrazia rappresentativa, anche contrastando l’effetto di ‘arma di distrazione di massa’ prodotto dal terrorismo islamico. Quest’ultimo, secondo l’attivista tunisino, in parte è però anche espressione di un grave disagio sociale, oltre ad essere strumentalizzato dagli Stati per rafforzare il potere costituito.
Igor Sticks ha iniziato il suo intervento sottolineando come sia necessario in questa fase superare il duplice sentimento di fallimento di fronte alla resilienza della vecchia politica degli Stati e dell’Unione europea; duplice perché si passa dalla paura alla frustrazione, al profondo sentimento di delusione dopo l’entusiasmo della mobilitazione, con il rischio che questi sentimenti si configurino come limiti per il futuro. Lo scrittore croato ha espresso quindi la necessità di sviluppare al più presto un’alternativa credibile che sia anche politicamente effettiva, rispetto all’alternativa secca tra politica istituzionale/partiti/elezioni e movimento ‘dal basso’ della società civile, proprio per evitare che si disperda ancora la grande energia democratica dei movimenti e della società civile. Sticks ha anche sollevato un’importante riflessione sull’urgenza di abbandonare il riferimento all’Occidente come unico modello per la riforma politica ed economica, anche alla luce dell’esperienza dei paesi dell’Est europeo, dove l’Europa Occidentale e l’Unione Europea si sono configurate come unico alternativa alle economie pianificate. In questo senso, bisogna quindi sviluppare uno sguardo mediterraneo e lavorare sul ‘senso comune’, che nel Sud dell’Europa e nell’Est può forse nel lungo periodo aiutare a costruire un’alternativa credibile al modello nord-europeo e americano egemone, che si fa portavoce delle istituzioni democratiche e di mercato. A tal fine, è necessario sviluppare strategie e percorsi di azione che abbiano un orientamento pragmatico, basato sugli spazi della vita quotidiana e sulla loro ‘politicità’; una visione più ampia che possa mettere insieme la mobilitazione sia a livello delle arene politiche nazionali e transnazionali, sia nei contesti di vita locali in cui direttamente sono coinvolti i cittadini.
A quest’ultima riflessione si è collegato l’intervento di Alberto Tena. Il segretariato politico di Podemos ha sottolineato che il potere è un’articolazione dentro cui si può creare un contropotere; il suo partito si pone come un’alternativa sia ai movimenti locali che puntano solo all’attivismo permanente, sia ai partiti di sinistra socialisti. Tena ha espresso le sue perplessità circa il rifiuto della ‘politica’ istituzionale da parte dei movimenti sociali, che rischia di mettere fuori gioco la loro capacità di trasformazione e rafforzamento al tempo stesso della democrazia. Ciò non implica abbandonare la propria specificità e quindi tutto il bagaglio di esperienze che è scaturito dal costante lavoro di mobilitazione e di riflessione ‘in strada e in assemblea’; questo non è però sufficiente per cambiare concretamente le cose superando il modello neoliberista di gestione dell’economia e delle democrazie in Europa. L’esponente di Podemos ha criticato in particolare la sinistra ‘tradizionale’ e i partiti ispirati alla Terza via di Blair, ormai fagocitati dall’immaginario neoliberista, ma anche le sinistre ‘vetero-marxiste’, troppo legate ad una visione rivoluzionaria Novecentesca che guarda alla ‘conquista dello Stato’ come unica strategia per un cambiamento ‘radicale’. Tena ha evidenziato la necessità di costruire una ‘contro-egemonia’ popolare estesa, che allarghi la propria capacità di presa sull’opinione pubblica, per riuscire a fare la differenza anche sul piano del confronto elettorale, in grado di contrastare l’egemonia neoliberista a livello dei singoli Stati e nella sfera sovranazionale, in particolare per modificare le politiche di austerity dell’Unione europea.
Anche Fabio D’Alessandro ha sottolineato la necessità di non riferirsi a modelli del passato, ma di tenere aperta la porta alla creatività dei movimenti a partire dal collegamento con le ‘piazze’ e la ‘strada’, con le agorà contemporanee. D’Alessandro ha portato l’esperienza dei No MUOS, un movimento prettamente locale che si oppone alla deturpazione del territorio e riesce a dialogare con la società civile perché si occupa di un’istanza concreta, che è vissuta in modo problematico in quanto incide sulla salute dei cittadini. Questo permette al movimento di attecchire localmente in misura molto più forte rispetto ai partiti politici, riuscendo a creare una coscienza maggiore rispetto ai problemi concreti del territorio. Il movimento è riuscito a coinvolgere molti giovani e vanta una costola universitaria, in un momento storico dove le nuove generazioni sono tacciate di disaffezione e disimpegno verso la politica e l’impegno civile. D’Alessandro ha infine ricordato che il suo movimento ha un obiettivo molto preciso e delimitato, ovvero evitare la costruzione di nuove infrastrutture militari sul territorio siciliano, non quindi una generica agenda politica di ampio respiro.