Cos’è il water grabbing

Oro blu: ovvero l’economia della capitalizzazione della natura

L’acqua è diventata “oro blu” in funzione della sua sempre minore disponibilità. La scarsità, tuttavia, non è una fatalità, ma è conseguenza di un modello di sviluppo che impatta pesantemente sui cicli naturali e sull’accesso alle risorse idriche, arrivando persino al loro accaparramento. Un modello economico improntato allo sfruttamento delle risorse naturali come forma di capitalizzazione. La domanda crescente collegata a una minore offerta trasforma una risorsa in un asset economicamente rilevante, favorendone il passaggio dalla privatizzazione della gestione e distribuzione dell’acqua fino al suo accaparramento e alla sua appropriazione a fini speculativi. La trasformazione di un bene comune disponibile in natura a basso costo in un bene commercializzabile, può tuttavia avere conseguenze devastanti per le comunità che spesso dipendono, per la loro sopravvivenza, dall’accesso libero a quella risorsa.

Water grabbing, beni comuni e diritti umani

Un classico fenomeno di appropriazione di acqua è il Water Grabbing, una vera e propria violazione dei diritti umani, economici, sociali e culturali di individui e popolazioni la cui sussistenza dipende dall’accesso alla risorsa idrica in quanto bene comune. Il Water Grabbing rappresenta una minaccia alla democrazia e alle comunità, non riconoscendo il diritto delle stesse ad esprimere il proprio consenso libero, previo e informato alla partecipazione della gestione dell’acqua, sottraendo il controllo della risorsa all’autorità di legislazioni e costituzioni nazionali a profitto dei privati e della speculazione finanziaria internazionale.

Crisi idrica, crisi sistemica

Il Water Grabbing costituisce quindi uno dei processi più diffusi e pericolosi di appropriazione, privatizzazione e mercificazione dei beni comuni e delle risorse naturali. Tale fenomeno è aggravato dall’espansione dei processi di liberalizzazione, d’ispirazione neoliberista, volti a rafforzare i processi di commodification della natura, la deregolamentazione degli investimenti speculativi e del commercio internazionale, fra cui gli Economic Partnership Agreements dell’UE, il TTIP, la normativa del WTO, lo European Water Blueprint, e la progressiva intromissione degli attori privati for profit nelle politiche di cooperazione e sviluppo.  Il water grabbing contribuisce quindi in maniera drammatica alla crisi idrica globale, per la quale vivono al di sotto della soglia di stress idrico di 1.700 metri cubi per persona 700 milioni di persone in 43 paesi , che potrebbero diventare i 2/3 dell’umanità a partire dal 2025 . A monte l’incremento demografico e dei consumi, e gli effetti dei cambiamento climatici; a valle l’accentuazione della conflittualità per l’accesso alle risorse naturali, rischiano di confluire in una crisi globale multipla capace di minacciare la stessa sopravvivenza della specie umana. La campagna contro il water grabbing è parte di questa lotta.

Le minacce al diritto all’acqua

Milioni di ettari di terreno sono stati concessi a prezzi irrisori da Governi di Paesi poveri o indebitati a imprese private straniere, favorendo così l’agro-business e l’agro-export. Il risultato è che in molte zone del mondo, come in Africa, la quantità di acqua necessaria per coltivare la terra è aumentata in modo esponenziale. Questa espropriazione delle risorse naturali, soprattutto idriche, viola il diritto delle comunità di gestire direttamente l’acqua in modo libero e autonomo, con un impatto duraturo sulla sovranità degli Stati. Secondo quanto riferito dalla FAO, entro il 2030 il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle città, di cui più della metà in “baraccopoli”, dove la mancanza di accesso all’acqua, di strutture igienico-sanitarie e di energia, non sarà una fatalità, ma il risultato in gran parte prevedibile di politiche inefficienti, costose e pericolose, deliberatamente adottate dai governi, che sembrano più sensibili e responsabili verso i loro donatori internazionali – in cambio di benefici privati interessanti – piuttosto che all’esercizio dei diritti dei loro cittadini e del loro benessere. I movimenti sociali e le organizzazioni della società civile non dovrebbero ignorare gli scenari legati alla crisi idrica e igienico-sanitaria, e le loro conseguenze sulla vita umana quotidiana, sulla salute, sui mezzi di sussistenza.

Allo stesso tempo, le nuove politiche commerciali e di investimento che l’Europa sta attualmente mettendo in atto, con gli Stati Uniti da un lato (come il TTIP, il partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti), e con il resto del mondo dall’altro (come gli EPA, gli accordi di partenariato economico, o i trattati di libero scambio che sta negoziando bilateralmente), prefigura scenari in cui politica, istituzioni, organi eletti e cittadinanza vengono ridimensionati in valenza politica e sociale.

I negoziati TiSA, che hanno l’obiettivo di liberalizzare i servizi, spingono nella direzione di introdurre e aumentare i partenariati pubblico-privato, la privatizzazione della gestione dell’acqua potabile nelle città e a livello rurale. Di fronte alla mancanza di risorse in loco, l’attuazione di questi trattati comporterà l’appropriazione e l’accaparramento, a tutto vantaggio delle grandi imprese, di tutti i servizi pubblici legati all’acqua, compresa la fornitura, il risanamento, la distribuzione e la purificazione.

La privatizzazione e la commercializzazione delle risorse e dei servizi rappresentano ricette rischiose, a cui bisogna opporsi con ogni mezzo per preservare l’acqua come bene pubblico, come diritto umano e bene comune. I conflitti in Palestina, Mali, Etiopia, Iraq o Sudan, dove le lotte per l’accesso all’acqua hanno un ruolo considerevole, illustrano in modo tragico l’inettitudine della comunità internazionale che si è dimostrata inadeguata nel combattere in modo concreto la desertificazione, e che non ha mai accolto seriamente le Convenzioni internazionali esistenti a questo scopo e raccomandate dalla comunità scientifica e dalla società civile internazionale. Un atteggiamento che avrebbe potuto, già oggi, salvare milioni di vite. Paradossalmente, si osserva che, anche se l’acqua è disponibile, le popolazioni non hanno ancora accesso all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari e ciò rimane un lusso per la maggior parte di  loro.

Il Water Grabbing è una grave minaccia per la sopravvivenza degli ecosistemi e delle comunità, e rappresenta la chiara violazione del diritto umano all’acqua. Grandi e piccoli casi di accaparramento avvengono ogni giorno in tutto il mondo e nonostante molti attori potenti stiano sfruttando l’acqua in svariati modi, questo problema è ancora poco discusso e rimane in fondo alle agende e alle priorità dei decisori politici.
Se vogliamo invertire questa deriva, e se vogliamo farlo in vista degli obiettivi di sviluppo dell’Agenda post-2015 delle Nazioni Unite, abbiamo bisogno di far sentire la nostra voce.
E abbiamo bisogno di farlo adesso.