Pensare la cittadinanza attiva in chiave mediterranea

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“PENSARE LA CITTADINANZA ATTIVA IN CHIAVE MEDITERRANEA: COME IMPARARE DAGLI ALTRI, FARE CULTURA E SCAMBIARSI GLI STRUMENTI PER IL CAMBIAMENTO SOCIALE”

Moderatore: Antonio Mazzeo, giornalista, movimento No MUOS

Intervengono:

Hozan Ibrahim (SYR/GER): ex-portavoce dei Local Coordination Committees della rivoluzione siriana in seno al Syrian National Council, attualmente in Germania; co-promotore dell’iniziativa Citizens for Syria per mettere in rete attivisti siriani e europei per la democrazia.

Lisa Ariemma (CAN/ITA): membro di Presidio Europa – No TAV, co-promotrice del Forum internazionale contro le grandi opere inutili ed imposte, che lega movimenti sociali di lotta contro la distruzione del territorio e per la cittadinanza attiva nella regione euro-mediterranea.

Ibrāhīm as-Shatalī (PAL): attivista di Gaza, uno dei leader della “Primavera araba” in Palestina contro le divisioni in seno alla società e alla politica palestinesi. Lotta per i diritti palestinesi di circolazione e di soggiorno e collabora con Civitas Academy / Skype

Come poter interscambiare esperienze e buone pratiche di lotta tra le varie organizzazioni di attivisti per tentare di costruire dal basso una cittadinanza mediterranea che fino a oggi è stata negata? Con questo interrogativo, Antonio Mazzeo, insegnante e giornalista messinese, sollecita al confronto i relatori di questa sessione. Antonio parla di Messina, la sua città e la città scelta per questo incontro, come una città dove spesso l’accoglienza dei “fratelli e delle sorelle del Sud si è trasformata in occasione di nuovi modelli di esclusione e privazione di diritti e identità (attraverso la realizzazione di centri di accoglienza in tendopoli ed ex caserme militari), che potrebbero essere estesi in Italia e in ambito UE”, e interroga i relatori chiedendo: “Chi sono questi soggetti che attraverso le buone pratiche possono tentare di costruire una rete dal basso?”. Hozan Ibrahim, attivista politico e sociale siriano, ha partecipato attivamente al movimento democratico civile del suo Paese a partire dagli anni 2000, e da due anni è rifugiato a Berlino. Nel 2013, ha co–fondato il progetto Citizens for Syria, che ha l’obiettivo di sostenere i progetti della società civile in Siria e connettere il movimento democratico siriano con associazioni e cittadini di altri Paesi. Hozan, parlando della Siria, di cui ormai si parla solo in relazione alla guerra e ai movimenti radicali collegati all’estremismo islamico, afferma che il contesto del suo Paese si è sempre basato sulla comprensione reciproca, dove coesistono diversi gruppi etnici, diverse religioni e diverse lingue, nonostante abbia solo ventuno milioni di abitanti. È un contesto che è cambiato con la rivoluzione del 2011, in quanto ha visto nascere organizzazioni indipendenti e pacifiche, piccoli comitati locali con l’obiettivo di creare reti che potessero collaborare tra loro, e dare vita ad una vera e propria democrazia. Tutto ciò è andato avanti fino all’uso sistematico della violenza da parte del regime: a quel punto, l’unica risposta possibile per tutelare le città in rivolta è stata quella di organizzare dei combattenti, uniti per combattere il regime; questa evoluzione ha portato a una militarizzazione del Paese. Hozan riflette sulla situazione attuale degli attivisti interni ed esterni al Paese, che, dopo tre anni e mezzo dallo scoppio della guerra, sono in uno stato di  depressione perché gli ideali iniziali di democrazia, libertà e giustizia sono stati disattesi. Nonostante questo, Hozan riscontra che molti di loro credono ancora nella rivoluzione, anche se i media non ne parlano o ne parlano in maniera del tutto superficiale. Per questo ha creato Citizens for Syria, per dare loro sostegno, metterli in rete ed incoraggiare i media a mostrare la vera immagine del Paese; è infatti responsabilità degli attivisti comunicare tra loro e

informare l’opinione pubblica di quello che realmente succede in Siria. La difficoltà più grande è collegare la comunità siriana che vive ancora nel Paese con i siriani che vivono fuori dai confini. Hozan conclude dicendo che vede la Siria come un foglio bianco dove siamo liberi di scrivere e lavorare per costruire un Paese nuovo e aperto; per raggiungere questo scopo, gli attivisti devono unirsi e creare dei network condivisi che possano supportare i progetti volti a insediare una democrazia in Siria. Una delle cose che potrebbero essere fatte nel concreto, nel suo caso tra Germania e Siria, è quella di raccogliere fondi che vengano poi mandati direttamente al coordinamento delle amministrazioni locali libere, per portare avanti progetti sul territorio, e soprattutto per sostenere la popolazione siriana, che dall’inizio della guerra ha visto salire i prezzi dei beni al consumo, e quindi è interessata da una diffusa povertà. Lisa Ariemma, giornalista e ricercatrice canadese, emigrata in Val di Susa nel 2001, interviene di seguito. Dopo aver creato e realizzato in Val di Susa corsi sulle migrazioni e il dialogo interculturale, Lisa è stata co–fondatrice del gruppo di lavoro Tutti Uguali, Tutti Diversi, per poi aderire al movimento NO TAV nel 2005. Ricollegandosi al suo lavoro con i NO TAV, afferma che questo movimento racchiude in sé tutto ciò che sta succedendo nell’area mediterranea, in quanto in tutta Italia è diventato simbolo di cittadinanza attiva, democrazia e solidarietà (ovvero, senso di solidarietà e rete, che ha dato vita a reti tra istituzioni e associazioni). Il movimento NO TAV è l’esempio più concreto della creazione di una grande rete formale dal basso; a dimostrazione di questo, vi è il fatto che vi sia stata una forte collaborazione anche con altri Paesi, tra cui la Palestina. Ibrahim as-Shataly, giovane attivista che vive a Gaza, uno dei leader della Primavera araba in Palestina contro le divisioni in seno alla società e alla politica palestinesi e contro l’Occupazione israeliana, parla via Skype invece dei cambiamenti che ci sono stati nel suo Paese e del ruolo dei giovani, che hanno come obiettivo la risoluzione del conflitto e la conquista della pace, ma soprattutto la libertà di muoversi liberamente dentro e fuori dal proprio Paese, cosa che viene impedita dai check-point eretti dal governo israeliano. “Loro ci definiscono terroristi, ma noi chiediamo solo di giocare un ruolo attivo, essere coinvolti, di avere un ruolo sociale, di essere parte del futuro di questo mondo. Noi vogliamo la pace, chiediamo di avere una vita migliore perché ce la meritiamo in quanto essere umani. Noi continuiamo a lottare per ottenere diritti e libertà”. Per mettere fine a questa lotta, una delle soluzioni, secondo Ibrahim, è quella di sostenere finanziariamente il governo palestinese, che sta rischiando di perdere tutte le sue risorse per attenuare gli effetti del conflitto. Maggiori risorse dovrebbero essere investite per far sì che il governo palestinese sia un buon governo, e per poter creare organizzazioni valide all’interno della comunità palestinese: “il nostro obiettivo si chiama futuro, vi chiedo di sostenerci proprio per la creazione del nostro futuro” aggiunge Ibrahim. “Come possiamo costruire la cittadinanza mediterranea dal basso? Come possiamo cooperare insieme per riaffermare valori come pace, libertà e giustizia?” rilancia il moderatore nei confronti dei relatori. Tutti e tre i relatori si trovano d’accordo nel rispondere che “comunicare, intercambiare è la soluzione”. “La comunicazione è fondamentale per portare avanti questo concetto di identità mediterranea, porre fine all’immigrazione illegale, utilizzare i media e i social networks per condividere i nostri ideali, promuovere incontri come SABIRMaydan per far arrivare all’opinione pubblica la vera realtà dei fatti” – chiariscono. Dinamismo e incontro sono le parole-chiave, per poter partecipare in maniera attiva alla trasformazione delle rispettive realtà, lavorando in rete tra gruppi di attivisti.