“I diritti ignorati: Libertà di associazione, Libertà di espressione, Libertà di informazione nella regione MENA. Dialogo sulle esperienze in Palestina, Egitto, Tunisia e Marocco nel quadro del progetto MED NET”

  1. Libertà di associazione

Questa tematica sarà trattata dal partner Egiziano EACPE, come risultato di una delle priorità dell’agenda delle OSC Egiziane, quali la riforma e l’approvazione della legge sulle ONG e la crisi attuale che le OSC si trovano ad affrontare trattando le proposte del progetto di legge, ancora privo di una prospettiva sui diritti dell’uomo. In Egitto, libertà di associazione significa anche combattere leggi ingiuste, incompatibili con gli standard internazionali sul diritto di manifestare pacificamente, e difendere le forme di resistenza alle nuove politiche liberali mostrando ai movimenti di solidarietà internazionale le grandi sfide che toccano la libertà di associazione in questo paese.

  1. Libertà di espressione:

Questa tematica sarà approcciata dal partner Palestinese PYU, dal partner Egiziano EACPE e da quello Marocchino Chabaka. Il Forum “Médias Civils Palestiniens pour la Protection des droits de l’homme” nasce dall’esperienza innovatrice elaborata dal PYU nel quadro del progetto MED NET, allo scopo di riunire le OSC che operano nel campo dei diritti umani, compreso il diritto alla libertà di espressione e la tutela dei diritti dei cittadini. La sicurezza fisica e la protezione dei giornalisti che si battono per la libertà di espressione, è un’altra priorità promossa dal partner Egiziano.

Il partner Marocchino Chabaka lavora sulla libertà di espressione e di informazione nel quadro della riforma costituzionale del 2011 e sul diritto di aumentare la partecipazione della società civile e della rappresentanza dei media indipendenti. Il partner Tunisino ALD parlerà del fatto che la lotta per la libertà di espressione è stata una delle richieste della rivoluzione tunisina le cui sfide rimangono attuali. Questo sarà sostenuto e preso in carico dalla società civile e dai media alternativi attraverso il patrocinio e le pratiche di concertazione. In particolare, la sostenibilità del processo politico, l’applicazione della Costituzione e lo statuto degli organismi indipendenti che regolano i media.

  1. Libertà d’informazione:

La campagna di mobilitazione “Il mio diritto a sapere” (“My right to know”) lanciata in Egitto in merito al diritto all’informazione sarà il punto dipartenza per affrontare il tema della libertà di informazione e il contributo dei media comunitari sarà rilevante. In Egitto, vari progetti e leggi in materia di accesso alle informazioni sono stati proposte da diverse organizzazioni della società civile, da istituzioni governative e dal progetto MEDNET, sostenendo questo processo a livello nazionale e attivando contemporaneamente le comunità intorno alla campagna fatta a livello locale. Una bozza del documento “Le sfide delle organizzazioni della società civile e dei media indipendenti in Palestina, Egitto, Tunisia e Marocco: Verso una strategia regionale?” sarà presentata per introdurre le sfide di cui sopra e segnalare: lo stato del la libertà di espressione, la partecipazione e il ruolo delle organizzazioni della società civile nell’agenda locale, lo stato delle riforme democratiche; buone e cattive pratiche svolte da organizzazioni della società civile e dalle istituzioni; la situazione comune che colpisce i paesi di destinazione, e, in generale, i paesi del sud del Mediterraneo; strategie, obiettivi, metodologie e programmi da sviluppare a livello regionale, al fine di rafforzare il ruolo delle organizzazioni della società civile in difesa della libertà di espressione, del processo partecipativo e di riforma democratica. Le raccomandazioni saranno condivise con tutti i partecipanti e sarà promosso un primo passo verso la costruzione di un quadro regionale per lo sviluppo di politiche e azioni di difesa, promuovendo altresì un dibattito per affrontare ulteriori rilevanti questioni, ma anche per riflettere su se eccome una strategia regionale possa essere possibile, tenendo conto anche del contesto generale.

 

“Le voci delle donne: immagine e rappresentazione delle donne nei media basate sulle attuali esperienze in Tunisia e Palestina”

La rappresentazione delle donne veicolata dai media continua ad essere strettamente collegata agli stereotipici di genere e ai ruoli sociali tradizionali. Le donne sono scarsamente rappresentate nei canali di informazione. Esse appaiono di rado e, quando vi sono notizie importanti, partecipano soltanto sporadicamente ai dibattiti politici ed economici. Persino le giornaliste donne evitano di parlare di tematiche femministe e talvolta contribuiscono esse stesse a rafforzare la tendenza verso stereotipi negativi e discriminatori in relazione alla donne e alla loro immagine.

Le cause possono essere rintracciate nei preconcetti relativi alle interazioni sociali tra i sessi e le implicazioni che ciò ha sugli status sociali e politici e sui ruoli di donne e uomini che influenzano e dirigono le scelte dei giornalisti e dei proprietari dei canali di informazione. Le donne sono “oggettivizzate”, rappresentate come merce e usate come strumento per la pubblicità e per incrementare le vendite dei media. Allo stesso tempo, il ruolo e la presenza delle donne nei mezzi di comunicazione sono ancora minoritari e il potere relazionale tra donne e uomini influenza le possibilità delle donne di accedere a posizioni di responsabilità e visibilità nei media, o semplicemente per lavorare in tale settore. Si impone una seria riflessione sulla rappresentazione del genere femminile veicolata dai diversi tipi di canali di informazione, così come un’analisi sui suoli delle donne nei media: opportunità ineguali, discriminazioni a lavoro, sottolineatura degli aspetti esteriori e dell’abbigliamento. Questi sono ulteriori argomenti che saranno affrontati durante il seminario proposto. Partendo dalle campagne di sensibilizzazione e di advocacy locali in Tunisia (rappresentazione dell’immagine delle donne nei media e condizione delle donne giornaliste) e in Palestina (il ruolo delle donne nei canali di informazione) nella cornice del progetto regionale “Med Net Society and Media Development”, la tematica sarà affrontata da un’ottica regionale, osservando la questione del miglioramento dell’immagine delle donne nei media come elemento rilevante ed attuale per la società civile dell’intero bacino del Mediterraneo.

Gli obiettivi del seminario saranno:

1) Promuovere un’immagine più realistica e positiva delle donne nei media e stimolare pratiche anti-discriminatorie che rompono gli stereotipi di genere;

2) Portare avanti le istanze delle donne attraverso i media e ribaltare la rappresentazione mediatica negativa e discriminatoria in relazione al genere (vulnerabilità, vittime, incapaci, ecc.) e la percezione del ruolo femminile veicolata dai canali di comunicazione;

3) Sviluppare attività per l’eguaglianza delle donne e degli uomini nei media;

4) Accompagnare il percorso delle donne giornaliste verso il rafforzamento, focalizzandosi anche sulle regioni più interne e svantaggiate nei differenti contesti;

5) Stimolare una riflessione congiunta tra i partner invitati dalla Tunisia, dalla Palestina e anche dall’Egitto, dal Marocco e dall’Italia, con una lettura regionale del fenomeno, prendendo in considerazione le reali esperienze già sviluppate per pensare ad azioni congiunte di advocacy (atto costitutivo);

6) Coinvolgere ulteriormente i media indipendenti-comunitari-associativi come vettori di sviluppo e cambiamento fondamentali, in grado di promuove un’immagine equilibrata delle donne nella regione, indurre un cambiamento nelle abitudini giornalistiche e correggere gli stereotipi di genere;

7) Rafforzare le politiche di eguaglianza di genere nella gestione delle informazioni e nell’implementazione dell’articolo 18 della CEDAW (Convezione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne) per garantire un maggiore accesso ai media e alle posizioni di leadership e una più efficace rappresentazione nei mezzi di informazione;

8) Presentare il percorso e gli strumenti sviluppati dalle associazioni ATFD (Associazione Tunisina delle Donne Democratiche) e MENA (Monitoraggio dei Media in Tunisia) e dal PYU (Unione Giovani Palestinesi) in Palestina al fine di contrastare la discriminazione nei media; istruire i giornalisti e gli operatori dei media nel linguaggio e nell’approccio di genere nella gestione delle informazioni; diffondere una rappresentazione positiva delle donne e contribuire al rafforzamento delle donne nei media, anche nell’ambiente lavorativo.

Il watergrabbing

Accanto all’accaparramento della terra e delle risorse energetiche, una delle più rilevanti forme di “grabbing” è quella dell’acqua, cioè delle risorse idriche messe a disposizione dalla natura, una risorsa indispensabile per la sopravvivenza di ogni essere vivente e dello stesso Pianeta. L’acqua può essere accumulata sottraendone la gestione o la proprietà alle comunità locali, può essere utilizzata per la coltivazione di colture che verranno inviate a migliaia di chilometri di distanza, può essere inquinata o sfruttata quando viene utilizzata in diversi processi industriali o minerari.

L’acqua può essere privatizzata e trasformata in una commodity e quindi “diritti idrici (diritti di sfruttamento o concessione) commercializzati e scambiati sui mercati finanziari, come nel caso del Cile dove è possibile acquistare i fiumi o le sorgenti. Insomma i processi di “water – grabbing” sono diversificati, a volte evidenti, in alcuni casi invece celati e strettamente connessi con la sottrazione di altri beni comuni, come la terra, il cibo, l’energia.

Il land grabbing ad esempio è quasi sempre associato anche all’accaparramento dell’acqua. Gli investitori infatti cercano terra molto fertile, e l’acqua è fondamentale per questo. L’offerta di acqua viene spesso inclusa in quella della terra, con licenze separate oppure attraverso investimenti in infrastrutture parallele (dighe, canali, pompe) per garantirne l’irrigazione.

Per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse estrattive, l’acqua è centrale per la lavorazione di molti metalli e per l’estrazione di alcuni minerali, come oro, carbone, rame, diamanti. La crescente domanda energetica inoltre, determina l’accaparramento delle risorse idriche attraverso le tecniche di “fratturazione idraulica” (fracking) praticata dagli Stati Uniti, in Canada per recuperare petrolio, fenomeno che tende ad essere praticato anche in Italia. L’acqua utilizzata in questi processi viene sottratta all’uso umano ma soprattutto all’ecosistema a cui viene spesso restituita altamente inquinata e tossica.

Più di 50.000 grandi dighe sono state costruite nel mondo interessando il 60% dei fiumi del Pianeta. Ciò rappresenta il caso più evidente di water grabbing! Le problematiche ambientali e sociali create soprattutto alle popolazioni locali dalla costruzione delle grandi dighe sono notevoli e vengono compiutamente di seguito esemplificate.

Nonostante l’assemblea dell’ONU abbia sancito nel 2010 il diritto umano all’acqua e ai servizi igienico sanitari, la privatizzazione del servizio idrico integrato e la conseguente trasformazione dell’accesso all’acqua da diritto a bisogno e merce continuano ad essere praticate in tutto il mondo. Anche nell’approvvigionamento di acqua potabile si riscontrano dunque processi crescenti e spesso diversificati di water grabbing. Accanto alla privatizzazione della gestione del servizio idrico, per produrre profitto attraverso l’erogazione di acqua potabile, l’appropriazione delle fonti idriche attraverso l’acquisizione di concessioni di sfruttamento per l’attività di imbottigliamento e produzione di bibite costituisce la seconda forma di accaparramento e di sottrazione di acqua potabile sempre più diffusa.

L’acqua è indispensabile per quasi tutte le attività umane : l’uso potabile ed igienico in primis, ma anche gli usi produttivi per agricoltura e allevamento, processi industriali, produzione di energia. Gli usi produttivi quando non destinati a garantire la sovranità idrica, alimentare, energetica, di una comunità, di un popolo, ma affidati in gestione ai mercati per processi industriali di sfruttamento rappresentano forme di accaparramento “virtuale” di acqua sottratta alle comunità.

L’acqua necessaria per produrre un determinato bene è stata espressa con il concetto di “acqua virtuale”, misurata attraverso l’Impronta Idrica (Water Footprint). L’acqua si dice virtuale perché una volta che il prodotto è finito (una bistecca, un paio di jeans, ecc.) l’acqua utilizzata per produrlo non è fisicamente contenuta in esso. L’impronta idrica può essere quindi un modo per misurare il water grabbing. Ad esempio: l’impronta idrica dell’olio di palma utilizzato nelle nostre centrali a biomassa, fornisce la misura di quanta acqua abbiamo sottratto alle popolazioni dove la palma viene coltivata. Infine la forma più recente ed avanzata di accaparramento è quella della ”finanziarizzazione” dell’acqua che possiamo considerare come l’ultima frontiera del water grabbing.

Dopo i processi di mercificazione (passaggio da bene comune a bene economico), di liberalizzazione e privatizzazione (apertura al mercato e alle imprese private della gestione), di monetizzazione (dare un costo all’acqua e un valore monetario ai servizi dell’ecosistema – depurazione, trattamento etc), la finanziarizzazione punta alla trasformazione di una risorsa naturale, messa a disposizione dalla natura per tutti gli esseri viventi (ciclo naturale dell’acqua) in asset finanziari che consentono lo scambio di strumenti di crediti e titoli di acquisto e quindi la creazione delle future borse dell’acqua con meccanismi del tutto analoghi a quelli già praticati sul mercato dei diritti del carbonio (carbon market) Oltre agli impatti negativi dovuti all’accaparramento dell’acqua e delle risorse essenziali alla vita, esiste un filo rosso che attraversa tutti i processi di “accaparramento” dei beni comuni di madre terra (Acqua e Terra ) e che costituisce una delle minacce più rilevanti: la perdita della democrazia dei cittadini e delle comunità locali in favore di modelli di governo gestiti dagli stakeholder( portatori di interesse) che operano sui mercati.

Questo determina la perdita di legittimità e della sovranità dei cittadini dei territori e degli stesi Stati e territori di poter decidere come utilizzare le risorse disponibili sui propri territori, di come proteggerle e come garantirne la conservazione per il Pianeta e per le future generazioni.)

I nuovi accordi commerciali finalizzati alla liberalizzazione dei mercati finanziari (investimenti) e dei servizi commerciali ed anche dei cosiddetti servizi di pubblica utilità o di interesse generale, come i TTIP in discussione, costituiscono la più grande minaccia ad ogni forma di sovranità delle comunità locali e di salvaguardia dei beni comuni. ( www.contrattoacqua.it )