Islam politico: può una cultura dei diritti unire e riconciliare?
Suggestioni tematiche: L’Islam politico non viene forse banalizzato in movimento criminale, sottovalutando la ricchezza che quella cultura può portare al dibattito politico e alle questioni sociali nella regione? / Relazioni possibili tra la cultura dei diritti della Sinistra europea e i valori dell’Islam politico / Prospettive di riconciliazione nazionale e di stabilità regionale dopo il declino dei Fratelli musulmani
Obiettivo del dialogo: Aprire un dibattito senza pregiudizi sull’apporto post-rivoluzionario delle pratiche dell’Islam politico per la convivenza interculturale e la promozione di diritti universali sulle due sponde del Mediterraneo.
Sintesi di Debora Del Pistoia, COSPE (moderatrice)
Hanno partecipato: Fariza Ghadanfar Ahmed Beseiso, attivista della società civile e dei diritti umani, fondatrice del movimento Women’s Initiative For Equity (WIFE), che mira a promuovere l’equità di genere nei luoghi di lavoro, e responsabile di programmi per l’istituto Civitas di Gaza; Mohammad Tolba (via Skype), attivista egiziano salafita e imprenditore nel campo dell’informatica, uno dei primi manifestanti di sensibilità religiosa a raggiungere piazza Tahir durante la rivoluzione del 2011, e fondatore di Salafyo Costa (I Salafiti che siedono al caffé Costa); Ernesto Pagano (via Skype), arabista e autore di documentari, collaboratore di varie testate e programmi televisivi, e regista del filmNapolislam, un documentario sulle conversioni all’Islam a Napoli; Gianluca Solera, attivista e scrittore, che ha militato nei movimenti verdi, è stato coordinatore delle reti della Fondazione Anna Lindh per il dialogo tra le culture, ed attualmente dirige il dip. Italia/Europa/Mediterraneo e Cittadinanza globale del COSPE.
Il dibattito sul rapporto e la compatibilità dell’islam con la democrazia non è certo nuovo ed è spesso fonte di confronto e scontro, talvolta di polemica e di narrazione strumentale al discorso occidentale, che descrive l’Islam politico come un blocco unitario e omogeneo con cui ogni forma di dialogo è impensabile. La discussione di questo dialogo non verte però sull’esistenza teorica di un “islam politico moderno e democratico”, ma sulla necessità di aprire un dibattito sulle pratiche dell’Islam politico moderato e la possibilità di sviluppare uno spazio di dialogo e di riconciliazione con i movimenti islamisti moderati presenti nel contesto post-rivoluzionario arabo, per promuovere alleanze per una convivenza interculturale e i diritti universali sulle due sponde del Mediterraneo. La recente affermazione dell’Islam politico con dei partiti islamisti in Egitto e in Tunisia, entrambi vincenti nelle prime elezioni libere post-rivoluzionarie, ha portato ad una valutazione negativa rispetto alla compatibilità di questi ultimi con i valori democratici e di cittadinanza. Queste esperienze hanno dimostrato che i partiti ispiratisi alla Fratellanza Musulmana nei due Paesi hanno implementato politiche reazionarie caratterizzate dalla repressione del dissenso, violazione dei diritti umani e un’accettazione omologata del modello economico neo-liberale. Come sostenuto anche da intellettuali come Samir Amin, i partiti dell’Islam politico finora andati al potere più che applicare i valori dell’Islam hanno applicato valori antidemocratici in un ordine perfettamente strumentale agli obiettivi dell’imperialismo dominante e subordinato alle esigenze del liberalismo economico mondializzato (“islamismo capitalistico”). Trovandosi di fronte alla necessità di dare una giustificazione politica al loro progetto dopo anni di oppressione politica, questi partiti hanno costruito il loro progetto politico a partire dal riferimento all’Islam, ma si sono trovati ad accettare il modello economico liberale, restandone prigionieri. Dopo il declino dei Fratelli Musulmani in Tunisia e in Egitto, la repressione di Stato rispetto ai movimenti islamisti in tutte le loro declinazioni come forma di soppressione del dissenso ritorna a manifestarsi violentemente, riesumando le antiche pratiche repressive dei regimi autoritari pre-rivoluzionari, colpevoli di aver disintegrato il carattere pluralistico delle società e di aver fomentato il proliferare di organizzazioni islamiste radicali.
E’ possibile oggi pensare ad una diversa relazione con l’Islam politico moderato che non lo banalizzi semplicemente in movimento criminale, ma che valorizzi la ricchezza che questo può apportare al dibattito politico e alle questioni sociali nella regione? Quali sono oggi le prospettive di riconciliazione nazionale e di relazione tra la cultura dei diritti della Sinistra Europea e i valori dell’islam politico?
L’intervento di Mohamed Tolba apporta da subito elementi interessanti. Tolba è un attivista salafita egiziano, uno dei primi manifestanti di sensibilità religiosa a raggiungere Tahrir Square durante la rivoluzione del 2011. Sottolinea il valore dell’esperienza sperimentale di Salafyo Costa, un movimento fondato nell’aprile del 2011 che riesce a riunire persone dalle diverse sensibilità religiose e identitarie, tra cui salafiti conservatori, seguaci dei Fratelli Musulmani, liberali e progressisti, oltre a cristiani coopti. Il gruppo evolve velocemente in un movimento sociale che si avvale di strategie pilota per promuovere la convivenza e il dialogo tra le diverse anime interne, partendo dalla consapevolezza di dover spezzare la diffidenza generalizzata verso i salafiti. Tra le varie pillole, cita l’organizzazione di partite di calcio e attività ludiche. Il movimento, che conta oggi fino a 25.000 aderenti, può essere considerato come un’esperienza unica nel mondo arabo per essere riuscito a forgiare un’identità comune nella promozione sia dei valori della rivoluzione del 25 gennaio che dell’unità in una società sempre più polarizzata. Tolba considera che la comprensione inter-religiosa, il pluralismo e la diversità culturale possano essere promossi proprio a partire dal riunire persone dai background religiosi, etnici ed ideologici diversi nell’elaborazione di un’identità complessa comune. L’esperienza di Salafyo Costa dimostra che le lotte sociali e politiche possono essere sviluppate evitando divisioni sociali e identitarie.
Ernesto Pagano, nel suo intervento, spiega che molti degli/lle italiani/e convertiti all’Islam esprimono un forte bisogno di spiritualità e allo stesso tempo una ricerca identitaria che possa dare un nuovo senso esistenziale. Pagano sottolinea come l’Islam rappresentato dai napoletani convertiti non risulti un blocco monolitico che annichilisce l’identità e la cultura di coloro che si convertono. Esso dialoga e si intreccia con le tradizioni locali e si declina anche nelle abitudini culturali, definendo un’identità composita e complessa. L’esempio rilevante è quello della pasticceria tradizionale locale che diventa “halal” (lecito, conforme ai precetti della legge islamica) o della sovrapposizione nella stessa piazza del culto della Modonna del Carmine con la preghiera di fine Ramadan. Valori simili e convergenti della popolazione napoletana e musulmana si incontrano e di mescolano nell’esperienza della conversione, portando un esempio interessante dell’Islam come forma di convivenza pacifica e aperta al confronto.
Fariza Beseiso, partendo dall’analisi delle ragioni che hanno portato alla vittoria di Hamas a Gaza nel 2006 e alla dimensione socio-politica del contesto palestinese in cui è andato ad inserirsi, afferma che l’esperienza di governo di Hamas sia una dimostrazione del fallimento di un possibile Islam politico moderato e democratico. A questo, aggiunge che il dialogo con gli islamisti moderati debba essere promosso e sviluppato a partire dall’attualità, per poter permettere anche ai movimenti islamisti di acquisire l’esperienza necessaria per poter raggiungere una consapevolezza politica che permetta loro di essere presenti e avere un ruolo consapevole nel gioco democratico. Le strategie comuni di mobilitazione della società civile laica e islamista moderata restano quindi a suo avviso importanti.
Gianluca Solera ricorda l’urgenza di avviare una riflessione rispetto al rilancio del dialogo con i gruppi e i movimenti islamisti moderati, con l’obiettivo di promuovere valori comuni e riconosciuti da entrambi aldilà delle affiliazioni ideologiche. Il considerare le forze secolari nel mondo arabo come uniche interlocutrici e portatrici dei valori universali potrebbe bloccare sul nascere la possibilità dell’emergenza di forze politiche islamiste nel contesto democratico e inasprire lo scontro sul piano identitario. La questione non può essere semplificata ad una banale differenza tra islamico o secolare, poiché nel contesto arabo-musulmano l’integrazione tra religione e politica è inevitabile. A partire da questa considerazione, quindi, la sfida è proprio quella di riuscire ad integrare le correnti islamiste in un contesto democratico, e di avviare un dibattito evoluto che esuli dai rischi di polarizzazione e riduzione della politica a questioni di identità. Se la Sinistra europea con posizioni progressiste in campo economico riuscisse ad abbattere i pregiudizi che la portano ad ostracizzare sistematicamente le correnti dell’Islam politico moderato che promuovono valori universali, e a costruire con queste alleanze, una nuova dinamica di resistenza e lotta per i diritti tra le due sponde del Mediterraneo sarebbe possibile, oltre alla costruzione di un concetto di cittadinanza comune e complesso.