Fermiamo il femminicidio di Stato che si sta consumando in Afghanistan. Un appello e una lettera aperta al Ministro degli Esteri.

“Sono costretta, a causa di gravi problemi di sicurezza e di grande pericolo per me e la mia famiglia, a rassegnare le dimissioni”. Così ci scrive una nostra ex collaboratrice da Kabul. Fatima (nome di fantasia) ha lavorato insieme a noi per anni, ha resistito all’arrivo dei Talebani, ha mandato avanti attività con donne e bambine organizzando scuole clandestine e garantendo le basi dell’istruzione a circa 500 ragazze, ha, infine, sfidato i vari diktat talebani mettendo a repentaglio la sua incolumità, ma ora le è impossibile proseguire.  Il 24 dicembre infatti Talebani hanno imposto il divieto per le donne afgane di lavorare nelle organizzazioni umanitarie.

Oltre a stretti controlli nei vari uffici, le milizie talebane pattugliano le strade impedendo di fatto ogni spostamento. Un ulteriore passo verso l’annullamento dei diritti delle donne, verso la cancellazione dei loro ruoli pubblici, nonché di una fonte di sostentamento per intere famiglie che riuscivano a sopravvivere con il loro salario. Le donne sono infatti la maggior parte della forza lavoro delle ong e delle organizzazioni umanitarie in Afghanistan, indispensabili per operare in contesti complessi nell’ambito dell’assistenza, della salute, dell’educazione, del sostegno ai più fragili. Un’altra decisione quella dei Talebani passata quasi sotto silenzio e con poche reazioni da parte della comunità internazionale.

Dopo la loro presa del potere nell’agosto del 2021 sotto lo sguardo sconvolto del mondo adesso tutto si consuma lontano dai nostri occhi e dal minimo clamore mediatico. Le parole che ci arrivano dai nostri ex collaboratori e collaboratrici sono, come quelle di Fatima, di grande paura, isolamento e rassegnazione. A contribuire al clima di intimidazione e terrore anche quelle che possiamo definire delle vere e proprie esecuzioni, iniziate fin dall’insediamento dei Talebani e culminate con l’omicidio dell’ex deputata Mursal Nabizada, uccisa in casa da un commando non meglio identificato.

Solo in questi giorni ci arriva una notizia di speranza e anche di grande coraggio: il responsabile di una delle associazioni con cui abbiamo lavorato e con cui collaboriamo a distanza garantendo sostegno economico, anche grazie ai nostri donatori, ci dice che stanno tentando in ogni modo di continuare le attività delle scuole, riunendo le ragazze in case private invece che al centro. L’escamotage è di includere sempre bambine sotto i 6 anni, le uniche per cui l’istruzione è ancora permessa dal governo talebano.

La forza e la tenacia di chi ancora lavora per cambiare le cose in Afghanistan nonostante tutto è per noi di grande esempio e ci sentiamo chiamati in causa per intervenire ancora da qua, per chiedere che ci siano iniziative internazionali che fermino questo crudele femminicidio di Stato. 

Per questo, insieme alle ong che lavorano in Afghanistan, abbiamo inviato una lettera al ministro degli esteri Tajani in cui per continuare a sostenere la popolazione afghana chiediamo:

  • Che l’Italia non sposti i finanziamenti destinati alla risposta in Afghanistan verso altre emergenze.
  • Che l’Italia dovrebbe sfruttare tutte le opportunità, in coordinamento con le Nazioni Unite, per sostenere coloro che all’interno dell’Afghanistan stanno respingendo il divieto.

Lettera originale.

Qui invece l’appello delle Nazioni Unite: www.voanews.com/a/taliban-rebukes-un-over-call-to-lift-bans-on-afghan-women/6918971.html

19 gennaio 2023