L’Afghanistan salvato dalle donne. Le voci delle attiviste afgane

L’Afghanistan è un paese senza tregua, in guerra da più di quattro decadi, e nonostante si siano susseguiti al potere diversi regimi e governi le violenze non accennano a diminuire, anzi.

Abbiamo colto l’occasione dell’evento al Festival di Internazionale di Ferrara “ La Kabul delle donne” che ha visto protagonisti Stefano Liberti, giornalista e Horia Mosadaq, attivista e rappresentante di SRMO (Safety and Risk Mitigation Organisation) e ricercatrice per Amnesty International, per tracciare il quadro della situazione attuale in Afghanistan grazie anche alle parole di Selay Ghaffar, rappresentante di un partito politico di opposizione e a Rohina Bower, attivista e collaboratrice COSPE, anche lei presente a Ferrara.

Su una questione tutte le attiviste intervistate concordano: l’Afghanistan è ancora il paese più pericoloso al mondo per le donne. Il punto più basso per la popolazione afghana e per le donne in particolare si è raggiunto negli anni ’90 sotto il regime dei Talebani: “Questo regime – dice Selay Ghaffar portavoce del Partito della Solidarietà dell’Afghanistan – bandì le donne da tutti i ruoli della vita e instaurò un clima oscurantista fatto di repressione e paura che, di fatto  ha dato inizio a tutti  quei problemi che ancora oggi affliggono l’Afghanistan. Da allora la gente continua a soffrire”. La situazione dopo i Talebani non però è migliorata ancora: “ Dopo il 2001, e sotto la bandiera della lotta al terrorismo, della liberazione delle donne afghane e sotto terminologie quali “esportazione della democrazia e dei diritti umani” – continua Selay – siamo stati di fatto “occupati” dagli Stati Uniti insieme a un gruppo di più di 40 nazioni. E abbiamo visto come da allora fino a oggi ogni anno la sicurezza sia ancora compromessa. Gli afghani soffrono ancora, e le donne afghane subiscono una violenza quotidiana ancora più pressante”.

“Non si può realmente dire che niente è cambiato – dice invece Horia Mosadiq – ogni anni ci sono circa 6 milioni di bambini che riescono ad andare a scuola, le donne hanno ripreso a lavorare e a occupare posti anche rilevanti di diverse professioni, la libertà di espressione è migliorata. Ma la strada è ancora lunga. Le quote di rappresentanza femminile in Parlamento – teoricamente il 25% – sono solo fumo negli occhi per la comunità internazionale, la vita politica elle donne è ancora molto difficile, la violenza familiare è altissima. Le donne continuano ad essere in percentuale molto alta ad essere analfabete e molte di loro non riescono a raggiungere indipendenza economica. Anche divorziare è un’odissea”.

A questioni strettamente culturali si sommano ancora instabilità politiche e conflitti interni che compromettono la vita politica ed economica del paese. Molte le fazioni che ancora si spartiscono il potere nel paese: oltre alle forze governative e straniere (Nato, Usa ecc.), ci sono ancora i Talebani, che nonostante non siano più al governo detengono ancora potere in alcune parti del paese, alcuni gruppi mafiosi, legati soprattutto alla vendita dell’oppio e in ultimo le milizie dell’ISIS. Questi gruppi creano un clima di guerra perpetua che mina la sicurezza del paese: “Solo a Kabul questo anno 1285 persone sono state vittime di attentati. È un numero enorme. Ci sono stati 328 morti e 967 feriti.” – spiega Rohina Bawer– “questo ci mostra quanto è atroce vivere in Afghanistan. Spesso le vittime sono persone comuni, che mentre fanno cose ordinarie come tornare nelle loro case vengono casualmente uccise da questi attacchi”. Questa situazione si ripercuote nella vita di tutti i giorni, rendendo l’Afghanistan uno dei paesi più pericolosi al mondo, soprattutto per le donne: “la violenza in Afghanistan è ormai quotidiana” continua Rohina “più di cinquemila casi di violenza contro le donne sono stati registrati in Afghanistan negli ultimi sei mesi. E si tratta di un numero destinato a crescere”. E sebbene le donne e i bambini siano le prime vittime,  si può dire che tutto il popolo afghano è sotto attacco. “Il principale problema – continua Selay – è l’impunità dei colpevoli: perché tutti quelli che commettono crimini contro le donne, contro gli afghani sono gli stessi che detengono il potere. Loro non saranno mai perseguitati dalla giustizia per i loro reati contro il Popolo afgano e contro le donne afgane.”

E nonostante tutto questo avvenga alla luce del sole, non vi sono concrete azioni per fermare questa violenza: “La comunità internazionale non fa nulla a livello locale – continua Rohina- . Se qualcuno picchia e poi uccide una giovane a Kabul, questa storia passa sui media e i social media, ma nessuno fa niente per lei. E gli assassini rimangono impuniti. Il governo non fa nulla nemmeno quando lapidano o bruciano viva una donna, come nel caso di Furkhunda, uccisa nel centro di Kabul meno di un anno fa. L’unico di cui ci sia stata n’eco internazionale mentre molti altri avvengono quotidinamente nelle case o nelle province più lontane senza che nessuno ne abbia notizia”.

E, come testimonia Selay, questa situazione porta molti afghani a non avere altra scelta che scappare alla ricerca di un posto sicuro: “In Afghanistan ci sono state troppe morti, e a volte le donne stesse si uccidono per trovare una via di fuga; molte persone lasciano questo paese, vanno in Turchia nella speranza di raggiungere i paesi europei”.  C’è chi però spera in una pacificazione del paese, resistendo nonostante la drammaticità della guerra: “la gente resiste. Perché vuole veramente vivere una vita tranquilla, nutrire i loro bambini, tenerli con sé e curarli” – continua Selay – “ed è per questo che la gente, pur non essendo al sicuro vuole lottare per una vita migliore: questa è la ragione per cui nonostante tutto gli afghani hanno iniziato ad avere un risveglio politico, richiedendo con forza istituzioni democratiche, per una giustizia reale.”

Per Rohina questa resistenza quotidiana fa dell’intero popolo afghano un Paese di attivisti: “Nella mia esperienza ti posso dire che tutto il popolo dell’Afghanistan è un difensore dei diritti umani: sia la gente che lotta contro i Talebani sia le persone comuni, tutti sognano la pace e si sacrificherebbero per ottenerla”

Ci sono però persone che si sono esposte più delle altre e ne hanno pagato le conseguenze: “La storia dell’Afghanistan ha visto centinaia di intellettuali venire torturati, imprigionati, massacrati. E anche attualmente, teoricamente in democrazia, vediamo i difensori dei diritti umani costantemente sotto attacco. Molti giornalisti, cooperanti, politici sono stati uccisi, per diverse ragioni” e anche in questo caso il problema è l’impunità: “non c’è un reale sistema di protezione statale per i difensori dei diritti umani, che si ritrovano quindi a difendersi da soli”.

Per Selay “L’unica soluzione per le persone di uscire da questa situazione è quella di risvegliare una coscienza politica. E agire, combattere per i propri diritti! Lottare contro l’oppressione, contro il governo attuale, che è un governo fantoccio, combattere è la sola maniera per un cambiamento. Non ci sarebbe posto per questi gruppi (i gruppi armati nda) se ci fosse un governo realmente democratico. Questa è l’unica soluzione. Bisogna continuare a combattere, stare uniti, essere solidali l’un l’altro e continuare a lottare per i propri diritti”.

COSPE Onlus è al fianco degli attivisti e delle attiviste Afghani/e con il progetto Ahram , Afghanistan Human Rights Action and Mobilisation che mira a valorizzare il rispetto per i diritti umani e le libertà fondamentali in Afghanistan e a sostenere e proteggere i diritti umani e i loro difensori, rafforzando le loro capacità e offrendo supporto alla società civile afghana per la promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

 Nella foto Rohina Bawer