Mai più un minuto di silenzio: per un 25 novembre facciamo rumore contro il patriarcato. Noi ci siamo.

“Se domani sono io, mamma, se non torno domani, distruggi tutto /Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.”   Cristina Torre Cáceres

Il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, anche quest’anno ci vede accanto a quei movimenti femministi e transfemministi, a quelle donne e attiviste, che ogni giorno e in ogni parte del mondo stanno lottando contro la violenza maschile e patriarcale pervasiva che colpisce tutte le donne.

La convocazione di Non Una di Meno Italia di una manifestazione nazionale in due città in Italia, Roma e Messina, ci vedrà partecipare quest’anno ancora con maggiore forza e convinzione. La violenza maschile contro le donne e la violenza patriarcale attraversa le vite delle donne, determina politiche pubbliche discriminatorie, decide che le risorse vadano su economie di guerra e di sfruttamento, legittima modelli sociali di prevaricazione, non investe in percorsi educativi sulla sessualità e l’affettività e non riconosce le economie di cura di cui le donne sono protagoniste.

Inoltre, la violenza patriarcale colpisce anche le persone lgbtiqap+ e tutte quelle persone che all’interno di una gerarchia sociale inaccettabile devono stare in una posizione subalterna. Parlare di violenza patriarcale e violenza maschile contro le donne, dunque significa parlare di un fenomeno strutturale delle nostre società che occorre scardinare. Gli ultimi femminicidi in Italia hanno riaperto un grande dibattito nella società italiana ma il richiamo continuo della destra alla propaganda di “dio, patria e famiglia” come visione ideologica che toglie il diritto di scelta e il diritto alle differenze, spaventa e ci deve chiamare a forme di protesta continue in nome di chi non c’è più e per chi resiste nonostante la violenza e per chi vuole trasformare l’esistente.

E al di là dell’Italia nei tanti luoghi del mondo assistiamo a regimi che si basano su apartheid violenti formalizzati di genere come in Iran o in Afghanistan o in altri contesti su apartheid sostanziali verso le donne in nome di culture tradizionali.  Alle donne resistenti in questi contesti difficilissimi deve andare il nostro sguardo e il nostro ascolto.

Inoltre, le crisi crescenti e accelerate ci pongono di fronte alla necessità di una riflessione sui legami che esistono tra la violenza patriarcale e le crisi e guerre che stanno accelerando e che stanno mettendo in discussione le nostre vite, i diritti umani, il diritto internazionale, la libertà di espressione, manifestazione e di parola in tutto il mondo.

Il diritto all’autodeterminazione dei corpi, delle vite va di pari passo all’autodeterminazione dei popoli ma questo nesso occorre esplicitarlo/rfiletterlo al di là di semplificazioni o slogan o di pericolosi nazionalismi che ancora una volta ricadono pesantemente sulle donne.

Questa grande complessità sarà il passo che contraddistinguerà questo 25 novembre. A tutt3 noi il dovere/diritto di protestare/manifestare/esserci e ci piacerebbe avere la forza per poter credere di nuovo in “un altro mondo è possibile”. “Mai più un minuto di silenzio! Rumore e grida per chi non c’è più!”