Solidarietà emotive o diritti?
Alla vigilia del 20 giugno, giornata mondiale del rifugiato, il diritto di asilo in Europa sta attraversando una fase cruciale.
Partiamo da una classifica, stilata ogni anno dall’autorevole Consiglio norvegese per i rifugiati, sulle dieci crisi di profughi più dimenticate dalla comunità internazionale. Quest’anno le prime dieci sono tutte in Africa e ahimè, non ne siamo sorpresi. Questa lista si basa su tre criteri, strettamente connessi l’uno con l’altro, cioè la carenza di copertura mediatica, la mancanza di volontà politica a trovare soluzioni e la penuria di finanziamenti per le emergenze. I paesi con le crisi più trascurate secondo il Nrc sono, nell’ordine: Repubblica Democratica del Congo, Burkina Faso, Camerun, Sud Sudan, Ciad, Mali, Sudan, Nigeria, Burundi ed Etiopia.
Negli ultimi mesi tutta l’attenzione europea e del mondo occidentale si è concentrata sulla guerra in Ucraina, peggiorando il consueto scarso interesse che i media riservano al continente africano. Già prima di questa crisi umanitaria, l’informazione dal mondo veniva trattata con una forte visione eurocentrica, tanto che nel 2021, secondo il nostro ultimo rapporto “Illuminare le periferie”, i primi cinque Paesi o aree geografiche estere coperte dai notiziari italiani risultano Usa, Europa, Gran Bretagna, Afghanistan e Francia. Fuori dai radar l’Africa e l’America Latina.
Ma sappiamo bene che non solo l’attenzione mediatica è stata inedita nei confronti del conflitto in Ucraina, bensì, soprattutto, l’immediata e positiva risposta degli Stati Europei, che hanno applicato la direttiva 55 del 2001 per dare protezione immediata, con permessi di un anno rinnovabili, ai profughi ucraini ed in tutti i paesi dell’Unione. Per la prima volta si è deciso di rispondere a una crisi con un’operazione di accoglienza, come mai era stato fatto in occasione di eventi analoghi, con la Siria, l’ Afghanistan o recentemente con i profughi proveniente dalla Bielorussia. Questa decisione, basata su un intento politico, in quanto vuole testimoniare la solidarietà dell’Europa nei confronti del popolo e del governo ucraino aggredito, ha nei fatti svelato il doppio standard dell’Unione Europea. I profughi ucraini sono stati ritenuti più meritevoli di accoglienza rispetto a tutte le altre persone in fuga da conflitti e crisi umanitarie, che in questi ultimi venti anni hanno tentato di affacciarsi alla Fortezza Europa.
Stanti i fatti, questa decisione difficilmente costituirà una svolta rispetto alle politiche migratorie europee.
In questi mesi sono infatti continuate le tragedie dei naufragi nel Mediterraneo, solo nel mese di maggio appena concluso sono state oltre 600 le persone scomparse e decedute nel tentativo di attraversare il Mediterraneo centrale (138 corpi ritrovati e 462 dispersi), a fronte di 7.067 persone violentemente respinte in Libia e riportate in detenzione illegale. La politica di contenimento continua con accordi con i paesi di origine e transito tra cui la Turchia e la Libia e non c’è alcun dibattito su una politica di liberalizzazione dei visti.
Ma le differenze di trattamento non finiscono qua: l’arrivo in Italia di centomila profughi in poco più di due mesi ha costretto il sistema dell’accoglienza italiano a far fronte a un’inedita emergenza.
A detta di molti addetti ai lavori, nonostante nel complesso il sistema finora abbia tenuto e molte persone abbiano potuto contare sull’accoglienza di reti familiari, l’arrivo degli ucraini ha comunque causato disagi ai profughi e richiedenti asilo che arrivano da altri paesi, in questo momento meno al centro del dibattito pubblico, facendo parlare di profughi di “serie A” e profughi ”di serie B”.
In teoria l’accoglienza dei profughi ucraini e quella di richiedenti asilo “ordinari” dovrebbero viaggiare su due binari diversi, per le regole semplificate dovute al meccanismo della protezione temporanea attivato dall’Unione Europea.
Nella realtà i flussi si sono inevitabilmente incrociati e continuano a farlo, a partire dalle questure, da dove devono passare sia i profughi ucraini che vogliono ottenere la protezione temporanea, sia i richiedenti asilo e migranti ordinari. In molte città questi ultimi sono stati rimandati indietro e posticipati per dare priorità ai profughi ucraini, che già hanno procedure estremamente semplificate, a causa di organici ridotti che già facevano fatica a gestire il carico di lavoro prima di questa emergenza.
Inoltre secondo testimonianze di operatori ed operatici emerge che, soprattutto nei primi giorni, i gestori dei centri di accoglienza hanno ricevuto pressioni dalle prefetture per trovare posti per gli ucraini, accelerando trasferimenti e fuoriuscite di persone che non avevano più diritto di rimanerci. Nonostante i decreti di ampliamento posti, creare dal nulla nuove disponibilità richiede tempo, risorse e passaggi burocratici.
A ciò si aggiungono le difficoltà riscontrate dall’accoglienza in famiglia, molte persone hanno dimostrato un grande impeto di solidarietà allo scoppio della guerra aprendo le porte della propria casa, ma con il passare dei mesi e l’inizio della stagione estiva emerge la necessità di una presa in carico qualificata e l’inserimento di persone in percorsi formali di inserimento.
Con la bella stagione anche gli arrivi aumenteranno, mentre gli sviluppi della guerra in Ucraina sono ancora ignoti ed è quindi importante che ci sia un investimento serio per garantire a tutte le persone in fuga un approdo sicuro. L’asilo non può essere una “concessione” da elargire secondo alcuni criteri o meriti, ma è essere un diritto universale inviolabile. Ribadirlo con forza è un dovere, oggi più che mai.
14/06/2022
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