Solidarietà selettiva, doppia morale e doppi standard
Negli stessi giorni in cui sono stati scoperti e raccontati gli orrori commessi nella città di Bucha in Ucraina, avvenivano altri feroci massacri nella città di Moura in Mali. Nella cittadina di 10 mila abitanti nella regione centrale del Mali, dal 27 al 31 marzo, sono state trucidate tra le 300 e le 500 persone, con l’accusa di far parte o essere simpatizzanti di formazioni jihadiste attive nel paese dal 2015. Secondo un comunicato dell’esperto indipendente per i diritti umani dell’ONU in Mali ed un’indagine circostanziata di Human Rights Watch i massacri sono attribuibili a forze governative supportate dal gruppo Wagner, società di mercenari legata al Cremlino, di cui il governo russo ha fatto uso in Siria, Libia e nella Repubblica Centroafricana.
Anche il drammatico bombardamento all’ospedale di Mariupol ha richiamato alla memoria tragiche analogie. “Dove eravate nel gennaio 2016 quando i sauditi bombardavano l’ospedale materno infantile al Sabaeen di Sana’a in Yemen, esattamente la sezione neonatale piena di incubatrici? Dove eravate nel novembre 2016 quando un bombardamento russo sull’ospedale al Quds di Aleppo uccise 27 persone, tra medici e pazienti, e il pediatra Waseem Maaz cercava di salvare i neonati estraendoli dalle incubatrici e portandoli nel bunker tra le lacrime? E se non volete guardare fuori dall’Europa, dove eravate nel 20 luglio del 1993 dove 200 bambini vennero abbandonati in nell’ospedale bosniaco assediato di Drin a Fojnica, in Croazia, dalle truppe croate, mentre il contingente UN a controllo canadese perdeva del tempo prezioso per salvare loro la vita, dove?” si chiede la giornalista e neo direttrice della Scuola di Giornalismo dell’Università Cattolica, Laura Silvia Battaglia in un editoriale appello rivolto alle Nazioni Unite pubblicato sul settimanale TPI
E allora ci si interroga come giornalisti e come operatori di ONG sugli errori di una comunicazione che non riesce ad arrivare alla mente e al cuore delle persone, su quanto siamo responsabili di quella che Barbara Schiavulli su Radio Bullets chiama la “solidarietà selettiva”. “I bimbi afgani che han assistito alla morte dei loro genitori come quel cane in ucraina, valgono meno la nostra indignazione? Le bombe russe sugli ucraini sono più brutte delle bombe russe sui siriani? Le bombe americane sugli iracheni o quelle saudite sugli yemeniti sono più giustificabili? E se non lo sono, allora perché i profughi somali non sono uguali a quelli ucraini? Perché loro si possono vendere ai libici o ai turchi mentre agli altri si spalancano i confini?” si domanda la giornalista che tanti teatri di guerra ha vissuto e raccontato e noi che quelle situazioni le abbiamo attraversato con le nostre azioni e relazioni con la società civile di quei paesi.
Certo è che la guerra in Ucraina oltre a sconvolgere drammaticamente un paese e gli equilibri geopolitici ha segnato un punto di svolta storico nelle relazioni internazionali e anche per chi, come COSPE, da anni si batte per i diritti dei popoli oppressi da regimi liberticidi ovunque nel mondo e da un sistema economico che distrugge il pianeta e alimenta le disuguaglianze. Mai come con la crisi Ucraina abbiamo assistito allo svelamento pubblico del doppio standard, applicato ai crimini di guerra così come all’accoglienza dei profughi.
Ciò che sembra emergere con forza è la differenza tra crisi con un impatto anche visivo immediato e quelle più o meno volutamente “dimenticate”, a riprova di quanto il potere influenzi e sia a sua volta influenzato dalle logiche mediatiche e di quanto importante sia il lavoro di COSPE e di moltissimi bravi giornalisti per “Illuminare le Periferie”, tutte.
La decisione del Consiglio dell’Unione europea per gli Affari interni di attivare la Direttiva 55/2001, adottata 20 anni fa per i profughi kosovari ma mai applicata, per dare protezione immediata, con permessi di un anno rinnovabili ai profughi ucraini ed in tutti i paesi dell’Unione, è una scelta giusta ed all’altezza del dramma dei milioni che fuggono dalle devastazioni della guerra. Diciamolo in modo chiaro e senza equivoco: le reazioni dell’Ue e dell’Italia nei confronti dei profughi ucraini sono reazioni giuste che chiediamo da anni quando si sono verificate situazioni simili. Ed in questo quadro anche COSPE si è immediatamente attivata, prendendo parte alla Carovana “Stop the war now”, raccogliendo aiuti umanitari per la popolazione ucraina e contribuendo ad ospitare in Italia un piccolo numero di rifugiate ucraine, oggi in accoglienza presso alcune famiglie.
Proprio su questo ambito notiamo che a fronte dei circa 100mila arrivi di profughi si stiano cercando soluzioni, sì ancora d’emergenza, ma con maggiore pragmatismo e senza veti e strumentalizzazioni politiche, aprendo a formule miste che prevedano anche l’accoglienza in famiglia e favorendo la comprensione tra la popolazione ospitante della necessaria tutela di un diritto costituzionale e internazionale, come quello all’asilo.
Purtroppo, dobbiamo registrare con amarezza e disappunto la decisione del governo italiano di escludere dalla protezione prevista dalla direttiva in questione i non-cittadini ucraini che fuggono dallo stesso paese e per la stessa guerra. Lascia sconcertati che anche di fronte al dramma della guerra in corso in Ucraina, l’Italia abbia scelto di stare dalla parte della Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia nel distinguere fra chi accogliere con una giusta protezione e chi no, fra quanti fuggono dagli orrori della guerra in Ucraina, in base alla loro cittadinanza, quasi come se la vita degli esclusi valesse meno.
Esistono profughi di serie A e di serie B? Gianfranco Schiavone, di ASGI ha scritto su Altreconomia del rischio di arretramento storico sul piano dei diritti. Da diritto universale l’asilo rischia di trasformarsi in una concessione da elargire o meno da parte del potere politico del momento e avverte “Se l’attuale scenario di regressione avanzerà ancora, nessuno potrà dirsi al sicuro: né il profugo ucraino che oggi fugge e forse verrà ancora accolto, né l’afghano di nuovo respinto, né ognuno di noi”
Per questo come COSPE rifiutiamo la solidarietà selettiva, la doppia morale e i doppi standards e torniamo a chiedere oggi che l’Ue e l’Italia agiscano allo stesso modo nei confronti di tutti i profughi dei conflitti che cercano protezione nell’Unione europea, che siano afghani, siriani, o maliani. Chiediamo che l’Ue e l’Italia reagiscano con pari orrore e determinazione nel denunciare e contribuire a perseguire quanti commettono atrocità come quelle di cui parliamo.
Firenze 21/04/2022
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