La violenza che ci vive addosso
25 novembre Giornata Internazionale contro la violenza maschile sulle donne e di genere. Afghanistan, Senegal, Italia: tre paesi, tre storie differenti sui diritti delle donne. Ma li abbiamo scelti per questa giornata per raccontare storie comuni di battaglie di donne sui diritti e storie simboliche che nella loro differenza ci riguardano.
Afghanistan. La crisi Afghana ci ha raccontato in questi mesi la ferocia misogina dei Talebani ma anche il fallimento della “nostra guerra giusta” fatta anche in nome dei diritti delle donne. Come se i diritti delle donne potessero essere trasportati con le armi! E mentre quella ferocia sconvolge anche i governi europei molte attiviste donne che adesso rischiano la vita sono ancora intrappolate in Afghanistan. Perché non riusciamo ad essere coerenti e in nome dei diritti delle donne e non le facciamo uscire tutte? E sapremo difendere quelle che, decidendo di rimanere nel paese, rischiano ogni giorno?
E continuando a pensare all’Afghanistan viene immediato ricordare le tre sorelle e attiviste Mirabal uccise nella Repubblica Domenicana nel 1960 proprio il 25 novembre per ordine del dittatore Trujillo contro cui si opponevano. Violenza di Stato e violenza maschile esercitata su tre donne annientandole e uccidendole in quanto donne e in quanto attiviste. Questo connubio doloroso di quel 25 novembre 1960 è diventato dal 1999 la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne e di genere. Connubio sempre presente.
Senegal. Paese africano dove lavoriamo da tantissimi anni, più libero da alcune contraddizioni e drammi che vivono i paesi confinanti, che ha approvato anche alcune importanti leggi sui diritti delle donne. Eppure ancora oggi non viene modificata la sostanzialità della discriminazione verso le donne: il codice della famiglia riconosce solo i diritti degli uomini violando così anche i diritti dei bambini, la legge contro la violenza non viene applicata, non esiste alcuna legge sull’aborto persino quello medicalizzato, pratiche tradizionali ledono quotidianamente i diritti delle donne: matrimoni forzati e precoci, mutilazioni genitali praticate in una parte del paese. Eppure le donne si mobilitano, la sua società civile femminile propone anche temi ritenuti complessi e difficili come una campagna per la criminalizzazione dello stupro e per una legge sull’aborto medicalizzato che stiamo sostenendo. E in una cittadina nel sud del paese, nella regione di Sedhiou, gruppi di donne provenienti da comunità rurali marginalizzate si sono attivate per la giornata del 24 e 25 con iniziative autonome di sensibilizzazione e denuncia che le porterà ad attraversare e animare su questo tema il capoluogo della regione con emissioni radio, incontri, dibattitti, una manifestazione itinerante e un documento da consegnare al governatore della Regione. Sono attiviste dal basso, diventate tali dall’incontrarsi e condividere spazi e tempi sulla loro condizione ma anche nel prendere parola pubblica attraverso agende che rileggono i loro contesti in un’ottica politica e di genere e chiedono modifiche sostanziali della loro condizione e di quella di altre donne.
Italia. Ci piacerebbe poter qui tirare un sospiro di sollievo e poter dire “Ci siamo! La lotta alla violenza maschile contro le donne e di genere è strutturale, ci anima, è costruzione permanente di un’altra modello di società”. Ma sono parole che forse un giorno pronunceremo. Perché avviene al contrario di inquietarci per l’immagine del Parlamento Italiano del 23 novembre con solo 8 persone a discutere delle misure per contrastare la violenza sulle donne. Come ci dice il rapporto di ActionAid, “Cronache di un’occasione mancata. Il sistema anti-violenza italiano nell’era della ripartenza”, le istituzioni continuano a non fare o fare male la loro parte: fondi stanziati per i centri anti-violenza che arrivano in ritardo e non tutti i fondi arrivano (per il 2021 solo il 2% è arrivato ai centri anti-violenza solo per fare un esempio), programmi di prevenzione scarsi, Piano nazionale anti-violenza 2021-2023, a un anno dalla scadenza di quello 2017-2020 ancora non operativo. E ancora più grave “la prevenzione e il contrasto della violenza sulle donne sono i grandi assenti delle pianificazioni strategiche adottate a livello nazionale con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e la Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026”. Eppure calano gli omicidi ma non i femminicidi e gli ultimi giorni sono stati impietosi per i numeri ma dietro i femminicidi c’è una realtà immensa di violenze quotidiane che agiscono dentro le mura delle case ma anche nel web contro le donne, negli spazi pubblici per le donne che decidono di impegnarsi pubblicamente o che semplicemente lavorano. Cosa sarebbe la lotta contro la violenza maschile sulle donne e di genere senza ancora una volta l’impegno di tante attiviste e delle loro associazioni e centri anti-violenza? Ma è anche in questa giornata che viene ricordato come la violazione persistente del diritto riconosciuto ad un aborto libero è anch’essa violenza contro le donne in nome di un’inaccettabile diritto all’obiezione di coscienza. I dati che escono ci dicono che ni molti territori italiani questo diritto è leso. Eppure sappiamo come intorno a questo diritto si giocano altri diritti e le lotte di molte donne anche in Europa ce lo dicono.
Violenza maschile contro le donne e violenza di Stato. Un connubio che non possiamo dimenticare e che ci vive addosso. Alle attiviste che non si arrendono perché non sia più così.