“Figli, non numeri”. Parlano le madri dei migranti dispersi nel Mediterraneo.

Eravamo a Tunisi, alla conferenza indetta da Mediterranea e Avvocati Senza frontiere lo scorso 19 febbraio per fare il punto sulle migrazioni, respingimenti, nuovi campo di “accoglienza”.  Ce la racconta Anna Meli,  direttrice comunicazione COSPE.

“Tu non puoi dare queste cifre senza guardarmi negli occhi! Tu dovresti abbassare gli occhi dalla vergogna quando mi guardi!” grida il fratello di un desaparecido al rappresentante dell’Ambasciata dei Paesi Bassi che tentava di dimostrare una ipotetica riduzione del numero di morti nel Mediterraneo nell’ultimo anno, leggendo con freddezza le statistiche che aveva di fronte.

Insieme al fratello e ad una delle madri che da più di 2 anni manifestano in Tunisia ed in Italia per avere notizia sulle sorti dei loro figli dispersi, anche Halima Aissa rappresentante dell’Associazione “Ardepte” (Association Recherche Disparus, encadrement Prisoniers Tunisiens à L’etranger) che gridava anche lei “non sono numeri sono persone, figli, fratelli”.

“Non si tratta di morti per casualità. E’ l’Unione Europea che ha deciso di trasformare il Mar Mediterraneo in un cimitero” ha dichiarato Alessandra Sciurba, presidente di Mediterranea, alla conferenza stampa organizzata dal Forum Tunisien pour les droits économiques et sociaux (Ftdes) da “Avvocati Senza Frontiere” e da “Mediterranea”, in occasione della presenza a Tunisi della presidente e a cui eravamo presenti anche noi di COSPE come molti rappresentanti di altre ong che operano a Tunisi.  Nella sala gremita di rappresentanti di associazioni e giornalisti il portavoce di Ftdes denuncia anche i respingimenti verso la Libia e la costruzione di un campo nel Governatorato di Tatouine al confine con la Libia, nel quadro di un Piano di Urgenza i cui contenuti non sono stati mai resi pubblici.

L’esperienza del campo di Choucha ha insegnato che non è quella la risposta alle migrazioni forzate dalla Libia. Allestito nel febbraio 2011 dall’Unhcr e altre organizzazioni internazionali e tunisine vicino al posto di frontiera di Ras Jedir, il campo di Choucha anche dopo la chiusura ufficiale nel giugno 2013, aveva continuato ad ospitare in condizioni disumane centinaia di rifugiati e l’unico supporto era stato quello dei cittadini tunisini e delle associazioni di volontariato.

Già nell’altro centro di detenzione attualmente attivo di El Ourdira, chiamato ufficialmente “Centro di accoglienza e orientamento”, continua Ftdes, le condizioni di vita sono intollerabili e si chiede per questo al governo tunisino e alle organizzazioni internazionali di fornire i mezzi necessari per rispondere ai bisogni umani dei migranti e dei richiedenti asilo che entrano in Tunisia sulla base del principio di non discriminazione.

“Ad un mese dalla Conferenza di Berlino sulla Libia è ora di fare un bilancio dei risultati ottenuti e della situazione nel paese” afferma Antonio Manganella, direttore per il Mediterraneo di “Avvocati Senza Frontiere”. “E’ inammissibile” ha aggiunto Manganella “che si continuino gli scambi commerciali con la Libia e si impedisca la libera circolazione delle persone, vittime di un conflitto che sembra lontano dal concludersi, proprio per gli interessi economici e geopolitici in gioco”.

Secondo “Avvocati senza Frontiere” è urgente applicare le misure decise a Berlino il 19 gennaio scorso e in particolare procedere alla chiusura dei centri di detenzione per i migranti e avviare canali umanitari per l’evacuazione delle vittime di torture e incarcerazioni arbitrarie.

Allo stesso modo Ftdes denuncia che come in Libia si è cercato di rafforzare la guardia costiera pagando milizie e rispendendo i migranti nelle mani dei loro aguzzini, allo stesso modo si sta cercando di addestrare anche la guardia costiera tunisina a fare lo stesso con dotazioni militari. D’altronde “da parte della Commissione Europea e degli Stati membri manca una strategia e una coerenza nella gestione delle politiche sulla mobilità, soprattutto per quanto riguarda l’Africa e il Mediterraneo”, ha denunciato pochi giorni fa Concord, la rete europea della Ong. Nel bilancio 2021 -2027 sono previsti aumenti significativi di stanziamenti per il controllo delle frontiere e accordi bilaterali per un processo iniziato da tempo di esternalizzazione delle frontiere. Non c’è traccia di un approccio strutturale e del ripristino di vie legali di accesso

Sull’apertura di canali di ingresso regolari così come sulla revisione dell’accordo bilaterale Italia – Tunisia ed evitare un accordo simile con la Spagna, insiste Fdes alla conferenza del 19 febbraio scorso a Tunisi. Ogni lunedì e giovedì arrivano voli dall’Italia con tunisini rimpatriati in modo forzato ed è difficile avere le cifre esatte dal Ministero degli Interni tunisino. Un accordo simile vige con l’Egitto dal 2007 e, nonostante che le condizioni politiche del paese siano notevolmente cambiate e il rischio di detenzioni illegali aumentato, come dimostra il recente caso di Patrick Zaki, si continuano ad effettuare rimpatri di massa.

Anche il Garante dei diritti delle persone detenute in Italia è intervenuto il 18 febbraio scorso esprimendo preoccupazione per i rimpatri forzati verso l’Egitto, che nel 2019 sono stati ben 363. Il Garante auspica questo proposito “che l’accordo bilaterale per i rimpatri con l’Egitto dovrebbe essere rivisto, perché in tema di situazione dei diritti umani l’Egitto del 2020 non è più quello del 2007, quando l’accordo fu firmato”.  Nella lettera all’Ambasciatore di Spagna in Tunisia Ftdes ricorda la dichiarazione fatta all’European summit del 2011 “the only borders set by the European Union are the borders of democracy and human rights”. Vorremmo poterlo ancora credere e sostenere.

 

Firenze, 20 febbraio 2020