Da Five Broken Camaras ad Innocence, visioni di Palestina al Terra di Tutti Film Festival.
Un lungo filo rosso lega il Terra di Tutti Film Festival alla Palestina e ce lo racconta lo storico direttore artistico Jonathan Ferramola. Visioni importanti oggi più che mai.
“Un festival di documentari sociali che voglia fare una lettura del mondo contemporaneo può decidere di cosa parlare fra migliaia di temi, dalle miniere in Congo alle discariche di Nairobi, dal conflitto fra le bande del narcotraffico in Messico alle alluvioni in Bangladesh. Ci diversi temi legati al documentario sociale, e tutti hanno dignità e valore. Ma una tematica non può mai venire meno in un festival che tratta di cinema sociale e diritti umani, una tematica che sempre avrà un pubblico attento e partecipe: la questione palestinese.”
Queste furono le parole che un distributore cinematografico di lungo corso mi disse quando nel lontano 2007 inaugurammo la prima edizione del Terra di Tutti Film Festival, evento di cinema sociale organizzato da COSPE e WeWorld.
E proprio così avvenne: dopo varie produzioni amatoriali che raccontavano principalmente le difficoltà quotidiane nella Striscia di Gaza, la prima vera produzione di alto livello a transitare dal festival fu nel 2011 FIVE BROKEN CAMARAS, co-diretto dal regista palestinese Emad Burnat e dal regista israeliano Guy Davidi. La storia, che portò il film a vincere l’Oscar come miglior documentario, del contadino palestinese Emad, che alla nascita di suo figlio Gibreel, acquista la sua prima videocamera. Nel villaggio di Bil’in è in costruzione una barriera di separazione e gli abitanti insorgono. Emad decide di improvvisarsi giornalista e filma la lotta per oltre cinque anni. Insieme alle riprese cresce anche suo figlio. In tutto utilizzerà cinque videocamere, andate via via distrutte dalla guerra e dai raid notturni…
Un’altra grande produzione, irlandese questa volta e vincitrice del prestigioso Sundance Festival, ad attraversare nel 2019 il TTFF con un potente e vibrante racconto di vite nella striscia con GAZA, un film di Garry Keane e Andrew McConnell. È difficile immaginare che qualcuno viva una vita normale nella Striscia di Gaza. Spesso etichettata come la più grande prigione a cielo aperto del mondo. Dalla tv, a migliaia di chilometri di distanza, questo piccolo pezzo di terra è stato ridotto a un’immagine di violenza, caos e distruzione. Quindi cosa fanno le persone quando non sono sotto i bombardamenti? La Gaza che viene raramente vista è la Gaza di tutti i giorni, una striscia costiera che misura solo venticinque miglia per sei e che ospita un mix eclettico di quasi due milioni di persone. Gaza non può essere compresa in un contesto puramente politico o analizzando i conflitti. Può essere realmente compresa solo immergendosi, vivendo tra la sua gente e riconoscendo ed esplorando la sua ricca diversità sociale e sottigliezze culturali.
Anche numerose produzioni italiane si sono cimentate negli anni nel racconto, coraggioso e senza filtri, delle vicende israelo-palestinesi. La casa di produzione bolognese SMK ha narrato nel 2021 nel film SARURA di Nicola Zambelli le vicende di “Youth of Sumud” (i giovani della perseveranza) che, alle porte del deserto del Negev, lotta contro l’occupazione militare israeliana, cercando di restituire alla propria gente le terre sottratte alle loro famiglie, ristrutturando l’antico villaggio di grotte di Sarura. Affrontano l’aggressione con azioni nonviolente, difendendosi dai fucili con le proprie videocamere; si oppongono alla desolazione e alla morte con la speranza e la vita. Dieci anni dopo il loro primo documentario sulla lotta non violenta in Cisgiordania, il regista torna nel villaggio di At-Tuwani per raccontare come siano cresciuti nel frattempo i bambini ritratti nel loro primo film, utilizzando materiale d’archivio di più di 15 anni.
A chiudere il cerchio e riportare tutto a casa, ma con una chiave di lettura inedita della situazione è ancora una volta il cineasta israeliano Guy Davidi, che dopo il successo al Festival di Venezia porta nel 2023 al TTFF il bellissimo INNOCENCE che racconta la storia di coloro che in Israele sono stati costretti a prestare servizio militare contro la propria identità e i propri valori. Chi è morto in servizio non è riuscito a raccontare la propria storia, se non attraverso le pagine di diari tormentati. Il film affronta il tema della militarizzazione e del suo impatto sulla vita dei giovani israeliani, intrecciando la narrazione con i rari video casalinghi che i soldati si sono lasciati alle spalle e con video di addestramento. Attraverso queste diverse forme, il film mostra come i bambini e i giovani vengono seguiti e spinti passo dopo passo dalla prima infanzia verso l’arruolamento nell’esercito e l’allontanamento dai loro genitori. Innocence mette così in guardia sui costi sociali e personali della crescente militarizzazione globale.
A cura di Jonathan Ferramola
9 novembre 2023