Un anno dalla morte di Mahsa Amini e l’inizio delle rivolte in Iran. Il commento di Luciana Borsatti

L’anniversario della morte di Mahsa Amini, entrata in coma subito dopo l’arresto da parte della polizia morale, cade oggi dopo che da mesi il potere ha messo in atto misure intimidatorie per scoraggiare altre manifestazioni come quelle che si sono succedute per mesi.

Il commento di Luciana Borsatti, giornalista, autrice del libro “L’Iran delle donne” a un anno dalla morte della giovane donna iraniana che ha dato il la a uno dei più grandi movimenti sociali dell’Iran contemporaneo. 

 

Secondo l’ong Hrana sono stati almeno 292 i manifestanti e gli attivisti arrestati negli ultimi 50 giorni, e 44 i parenti delle vittime delle proteste finiti in carcere, convocati dalla polizia o colpiti dal divieto di viaggiare. Pesanti intimidazioni anche ai danni degli studenti universitari, mentre oltre un centinaio i docenti sono stati licenziati o sospesi.

Questo giro di vite preventivo evidenzia quanta preoccupazione nutrissero le autorità della Repubblica Islamica verso la  possibilità di una ripresa del movimento Donna Vita Libertà. Un movimento guidato dalle donne, la cui rivolta contro l’obbligo del velo trascina quella di tanti giovani e di tanti iraniani che chiedono libertà e diritti ad un’oligarchia al potere sempre più sorda e brutale.

Ma chiedono anche condizioni di vita dignitose, la fine della corruzione e della cattiva gestione dell’economia, la difesa dell’ambiente, la fine della marginalità economica, politica e sociale delle minoranza etnico-religiose, in particolare quelle dei curdi e baluchi.

E sta proprio in questa capacità di fare da traino per le istanze di tanti gruppi sociali la forza delle donne iraniane, che hanno proseguito fino ad oggi, anche quando le proteste di piazza si sono diradate, la loro battaglia-simbolo contro l’obbligo del velo, nonostante l’inedito inasprimento delle sanzioni previsto in una nuova proposta di legge da mesi in incubazione in Parlamento.

Ma se gli ultraconservatori al vertice del Paese non vogliono cedere, crepe continuano ad aprirsi anche all’interno della stessa classe politica e religiosa cui appartengono e a livello dello zoccolo duro del loro consenso. Basti pensare alle dure critiche alla repressione giunte in questi mesi anche dai seminari teologici di Qom, e alle voci di quanti chiedono cambiamenti radicali e un referendum per una nuova Costituzione, pur provenendo dalle file dei fondatori e dei sostenitori della Repubblica Islamica prima di passare al dissenso, all’opposizione e perfino anche al carcere..

Chi sta al potere sembra rimanere ancora saldamente in piedi e  continua a scegliere la linea dura, ma questo potrebbe rivelarsi un giorno un segno non di forza ma di debolezza.

16 settembre 2023

Immagine tratta dal documentario “Noi donne iraniane” di Anna MIgotto e Sabina Sereni.