Il fumo fa male alla salute (del pianeta)

Michela Maione, Università di Urbino Carlo Bo, Dipartimento di Scienze Pure e Applicate

La foresta Amazzonica, uno dei più grandi patrimoni naturali del pianeta e una delle maggiori componenti del sistema Terra, si trova oggi ad affrontare una doppia minaccia: la deforestazione lo stress provocato dai cambiamenti climatici.

Per secoli la deforestazione dell’Amazzonia è stata un’attività legata alla sussistenza di agricoltori locali che abbattevano alberi per poter coltivare prodotti destinati ad un consumo locale. Nella seconda parte del 20° secolo è avvenuta però la svolta; agricoltura e allevamento intensivi sono stati i principali motori della deforestazione, tanto che nel 2000 più di tre quarti delle aree disboscate era destinato all’allevamento di bestiame

La sequenza di immagini satellitare eseguite dalla NASA (https://modis.gsfc.nasa.gov/) mostra chiaramente la devastazione progressiva di larghe porzioni della foresta. La deforestazione segue sempre lo stesso schema. Inizialmente nella foresta compaiono radure a lisca di pesce che seguono il tracciato delle strade. Di seguito, le lische collassano lasciando posto ad un ambiente misto in cui i resti della foresta convivono con aree disboscate e insediamenti. Le strade, legali e no, che penetrano nella parte remota della foresta attirano piccoli agricoltori che, rivendicando i terreni che si trovano lungo questi varchi, li liberano, bruciandoli, per avere aree coltivabili. Il terreno reso inizialmente più fertile dall’incendio, nel giro di un paio di anni, in seguito alle forti piogge e all’erosione, si impoverisce e i raccolti diminuiscono. Gli agricoltori, quindi, convertono i terreni poco produttivi in pascolo per il bestiame e ripuliscono, incendiandole, ulteriori porzioni di foresta.  Infine, i piccoli proprietari terrieri, dopo aver disboscato gran parte della loro terra, la abbandonano o la vendono ai grandi allevatori di bestiame, che consolidano l’utilizzo degli appezzamenti come vaste aree di pascolo. Dal 1978 a oggi in Brasile, Perù, Colombia, Bolivia, Venezuela, Suriname, Guyana e Guyana francese sono stati distrutti circa un milione di chilometri quadrati di foresta pluviale amazzonica. L’80% della deforestazione è avvenuta in Brasile, nel cui territorio si trova circa il 60% della foresta pluviale. Dal 1988 al 2006, i tassi di deforestazione nell’Amazzonia brasiliana sono stati in media di 18.100 km2 all’anno, raggiungendo i 27.400 km2 all’anno nel 2004. Tuttavia, diversamente da quanto accaduto nei paesi amazzonici limitrofi, dal 2004 in Brasile i tassi di deforestazione si sono più che dimezzati attestandosi nel 2007 a circa 11.000 km2 all’anno. Le cause di questo rallentamento sono da ricercare in una combinazione di diversi fattori: calo del prezzo della soia, apprezzamento della valuta brasiliana, intervento attivo del governo brasiliano in seguito pressioni ambientaliste, iniziative del settore pubblico e privato e, infine, l’introduzione di nuove aree protette (Nepstad et al., 2006). Dal 2012 però si è verificata un’inversione di tendenza con rinnovata crescita della deforestazione che ha subito ulteriore accelerazione dopo l’elezione di Jair Bolsonaro a presidente del Brasile nel 2018 (Silva Junior et al., 2021). Sembra che l’impulso politico a ridurre la deforestazione sia venuto meno come conseguenza delle pressioni di allevatori, agricoltori, investitori e speculatori terrieri.  Nella Figura 1 è mostrato il tasso annuo di deforestazione amazzonica brasiliana in km2 dal 1977 al 2021.

Figura 1. Tasso annuo di deforestazione amazzonica brasiliana in km2 all’anno dal 1977 al 2021. I dati dal 77 all’ 88 sono stime derivate da misurazioni del suolo. I restanti dati provengono dal sistema INPE/PRODES che calcola le aree di deforestazione sulla base di un’analisi delle immagini satellitari Landsat, disponibili nel sito: http://www.obt.inpe.br/OBT/assuntos/programas/amazonia/prodes. Figura tratta da Artaxo et al., 2022.

 

In un famoso discorso del 24 settembre 2019 alle Nazioni Unite, Bolsonaro ha affermato che la foresta pluviale è il territorio sovrano del suo paese: “…È un errore dire che l’Amazzonia è patrimonio dell’umanità ed è un’idea sbagliata, confermata dagli scienziati, affermare che le nostre foreste amazzoniche sono i polmoni del mondo”.

In effetti Bolsonaro non fa che aggrapparsi all’affermazione fatta da alcuni scienziati che hanno puntualizzato che non è corretto definire polmone del mondo la foresta amazzonica in quanto essa contribuisce “solo” per il 5-6% dell’ossigeno atmosferico prodotto globalmente dalla fotosintesi (marina e terrestre). Tuttavia, il vero problema non è la mancata quantità di ossigeno generato dalle foreste, ma piuttosto la catastrofe ecologica causata dall’aumento dell’anidride carbonica (CO2) atmosferica dovuto alla deforestazione. Infatti, la foresta pluviale da sola assorbe circa il 15% della CO2 presente nell’atmosfera globale. Per dare un’idea del peso del contributo della foresta amazzonica sul budget del carbonio globale, basti pensare che la quantità di CO2 assorbita dalla foresta amazzonica equivale a metà delle emissioni antropogeniche di CO2 prodotte in Europa.

Lo scambio netto di CO2 tra l’Amazzonia e l’atmosfera è il risultato dell’equilibrio tra l’assorbimento da parte della fotosintesi (produzione primaria) e le emissioni dovute a respirazione, decomposizione dei residui vegetali nel suolo e combustione della biomassa. A causa delle dimensioni della foresta pluviale amazzonica, che è uno delle più grandi serbatoi di carbonio della Terra (~150–200 Pg di C, 1Pg= 1015g), anche piccoli cambiamenti nei flussi di questo ecosistema diventano percentualmente molto significativi su scala globale (Feldpausch et al., 2012). Il principale motore delle emissioni di CO2 dall’Amazzonia è il cambiamento dell’uso del suolo e il degrado delle foreste. Se fino al 2007 si è stimato che la foresta amazzonica agisse ancora come assorbitore di CO2, con un assorbimento stimato di circa 0.5 Pg C all’anno (Pan et al., 2011), studi più recenti ipotizzano che l’assorbimento sia in costante calo (Aragão et al., 2018) a causa della perdita di un 1/3 della biomassa rispetto agli anni ’90 dovuta a cambiamenti d’uso del territorio, siccità e mortalità degli alberi. Si teme pertanto che quello che è considerato il più importante ecosistema della terra in grado di assorbire CO2 sia a rischio di diventarne una sorgente netta (Gatti et al., 2021).

Si prevede che tutte le perturbazioni provocate dall’uomo, incluso il cambiamento climatico, porteranno, con un effetto a cascata, ad un aumento di emissioni di gas serra dal bacino amazzonico, innescando così un pericoloso feedback.

Vediamo di seguito alcuni esempi.

Tra le principali fonti emissive di CO2 c’è la combustione della biomassa durante gli incendi, tenendo presente che, se storicamente hanno prevalso gli incendi innescati a scopo di deforestazione, d’ora in avanti aumenterà il contributo degli incendi causati dalla crescente siccità della regione (Aragão et al., 2018). Un altro importante effetto a cascata è quello che riguarda in contenuto di carbonio nel suolo in quanto la maggior parte del carbonio è immagazzinata nei primi 50 cm. La conversione delle foreste in pascolo riduce lo stoccaggio di materia organica del 20% nei primi 30 cm (Fonte et al., 2014). Inoltre, si prevede che le temperature del suolo più calde, associate al riscaldamento globale, accelerino i tassi di respirazione microbica del suolo, aumentando ulteriormente la perdita di carbonio (Cusack et al., 2018).

La CO2 non è l’unico gas serra il cui budget è alterato dalla deforestazione; si ritiene che il Brasile, a causa della sua varietà di fonti naturali e artificiali, sia uno dei principali contributori alle emissioni globali di metano (CH4), un gas serra 28 volte più potente della CO2. I flussi naturali di CH4 riguardano suoli e sedimenti, i quali possono sia produrre che assorbire metano. I suoli montani ben drenati costituiscono principalmente un assorbitore netto di CH4, mentre i suoli umidi o sommersi agiscono come una sorgente. Il bacino amazzonico ospita la più vasta area di foreste tropicali umide e circa il 20% di quest’area è stagionalmente allagata. In un clima più caldo è possibile che le emissioni di CH4 dall’Amazzonia aumentino sia a causa dell’aumento delle temperature che delle precipitazioni. Si stima che il bacino amazzonico sia responsabile per circa il 24% dell’aumento globale totale delle emissioni di CH4 dell’ultimo decennio e questa tendenza potrebbe continuare in futuro a causa dell’aumento della temperatura media globale (Wilson et al., 2021)

Le emissioni antropogeniche di CH4 dal bacino amazzonico derivano essenzialmente dall’allevamento/agricoltura, dai rifiuti e dalla combustione di biomassa. Il bestiame è un’importante sorgente di CH4 il quale viene prodotto durante la fermentazione enterica: i microorganismi presenti nel rumine decompongono materiale vegetale (cellulosa, fibre, amidi e zuccheri), producendo come sottoprodotto CH4 che viene espulso dall’animale attraverso l’eruttazione. Nel 2018 in governo Brasiliano ha riportato alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) emissioni antropogeniche di CH4 pari a circa 18 Tg (1Tg=1012g), di cui il 70% attribuibili al settore agro-alimentare (fermentazione enterica, gestione del letame e combustione di residui delle colture) ed il resto a rifiuti (16 %), energia (4 %) e cambio di uso del suolo (6 %) ( Tunnicliffe et al., 2020).

Nel complesso si può affermare che quanto sta accadendo possa essere visto come un pericoloso circolo vizioso: la deforestazione e i cambiamenti d’uso del territorio causano un aumento delle emissioni di gas serra che sono responsabili dell’aumento della temperatura globale e il riscaldamento globale, a sua volta, è il fattore che guida un aumento delle emissioni di gas serra.

Ma il clima globale non è l’unico aspetto preoccupante: la foresta amazzonica ricopre un ruolo fondamentale anche nella regolazione del clima a scala locale-regionale. A scala locale l’evaporazione dell’umidità porta a raffreddamento ed a inumidimento degli strati bassi dell’atmosfera. A scala più ampia, la “cascata” di vapore acqueo che si propaga attraverso il bacino determina le precipitazioni opponendosi gli effetti dannosi della siccità.

Secondo gli scienziati, la foresta amazzonica si starebbe avvicinando ad un pericoloso punto di svolta (tipping point). Nello studio dei cambiamenti globali, il termine tipping point è stato utilizzato per descrivere una varietà di fenomeni a carico dei cosiddetti «tipping element», ovvero quei sottosistemi del sistema Terra che possono essere trasformati, in determinate circostanze, in uno stato qualitativamente diverso anche da piccole perturbazioni. Il «tipping point» è il corrispondente punto critico in cui lo stato futuro del sistema è qualitativamente alterato. Si ritiene che la foresta amazzonica sia vicina al punto di svolta che la starebbe trasformando in savana tropicale (Boulton et al., 2022). Questo avviene a causa del ruolo fondamentale della foresta pluviale nel riciclare la propria acqua per produrre una parte della pioggia della regione. Pertanto, la deforestazione, rendendo le piogge meno frequenti, porterebbe ad un prolungamento della stagione secca. Si stima che la distruzione del 20-25% della foresta sarebbe sufficiente ad innescare questa trasformazione, i cui segni, come ad esempio il progressivo prolungamento delle stagioni secche, sono già osservabili. Purtroppo, fonti governative Brasiliane lo scorso novembre hanno dichiarato che la deforestazione ha già raggiunto il 22%. La notizia è arrivata poco meno di una settimana dopo la chiusura della COP26 a Glasgow. Alla conferenza sul clima, il Brasile ha firmato la dichiarazione di Glasgow sulle foreste e si è impegnato a frenare la “deforestazione illegale” entro il 2028.  Tuttavia, tale dichiarazione non è legalmente vincolante e, poiché l’amministrazione Bolsonaro ha allentato le leggi ambientali, di fatto ha legalizzato la deforestazione.

Insomma, legale o meno che sia, il “fumo” fa male alla salute del pianeta e presto sarà tardi per dire “smetto quando voglio”…

 

 

Aragão et al., 2018, Nat Commun 9, 536.

Artaxo et al., 2022, Tellus B 74, 24–163.

Boulton et al., 2022, Nat. Clim. Chang. 12, 271–278.

Cusack et al., 2018, Biogeochemistry 137, 253–266.

Feldpausch et al., 2012 , Biogeosciences 9(8), 3381-3403.

Fonte et al., 2014, Soil Biol. Biochem. 68, 150–157.

Gatti et al.,  2021,  Nature 595 (7867), 388-393.

Nepstad et al.,  2006, Conserv. Biol. 20, 65–73.

Pan et al., 2011, Science 333, 988–93.

Silva Junior et al., 2021 , Nat. Sustain. 5, 144–5.

Tunnicliffe et al., 2020, Atmos. Chem. Phys. 20, 13041–13067.

Wilson et al., 2021, Atmos. Chem. Phys. 21, 10643–10669.

 

Con un appuntamento al MAXXI- Museo nazionale delle arti del XXI secolo -il 7 maggio alle ore 14.00 – COSPE rilancia per il 2022 la Campagna AMAzzonia, in collaborazione con Change for Planet Firenze, Comune di Firenze (Assessorato all’Ambiente), Legambiente Lombardia, Parco Nord Milano, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo” e Circolo Laudato Si “Nelle Selve” di Roma.

L’evento è in concomitanza con l’esposizione della mostra “Amazônia” del fotografo brasiliano Sebastião Salgado, che regala a chi la visita una esperienza diretta dell’Amazzonia nella sua unicità. Parteciperà Adriano Karipuna, leader nativo del popolo Karipuna di Rondonia (Brasile), figura simbolo della resistenza dei popoli indigeni dell’Amazzonia, contro la deforestazione e l’assalto delle economie predatrici che minacciano l’integrità dei suoi ecosistemi e la vita delle sue comunità.

 

28/04/2022