Tunsia: i giovani tornano in piazza: “siamo la generazione tradita”. Firma l’appello in sostegno dei movimenti giovanili.
“Più di mille arresti di giovani e giovanissimi, in buona parte minori e un giovane, Haikel Rachdi, ucciso da un lacrimogeno durante le manifestazioni a Sbeitla (Kasserine). Stiamo assistendo a una situazione di dura repressione, che pare essere l’unica risposta di un governo latitante rispetto alle richieste di diritti, lavoro e giustizia sociale della popolazione”. Da Tunisi Alessia Tibollo di COSPE ci racconta quanto sta succedendo oggi per le strade, nelle piazze, nelle periferie e in diverse province del paese dove come COSPE lavoriamo a sostegno dei giovani, dello sviluppo di imprese sostenibili e filiere locali di qualità e accesso alla salute di base.
QUI L’APPELLO CHE ABBIAMO FIRMATO IN SOSTEGNO DEI MOVIMENTI GIOVANILI TUNISINI
Tanta gente esasperata, stremata economicamente, sta chiedendo al governo di cambiare passo e di mettere fine alla corruzione, alle logiche clientelari che perpetuano e ripropongono quelle del vecchio regime di Ben Ali. Si chiede ancora una volta allo stato di garantire un sostegno al reddito, un’adeguata assistenza sanitaria e un maggiore accesso all’istruzione.
E sembra proprio di tornare indietro nel tempo: lo scenario, le proteste, gli slogan, le manifestazioni di piazza sono praticamente gli stessi di 10 anni fa, il 2011, anno della rivoluzione tunisina e innesco delle cosiddette primavere arabe. Anche all’epoca fu l’onda lunga di una crisi economica mondiale e l’aumento dei costi dei beni primari (iniziato nel 2008) a scatenare le rivolte contro i regimi dittatoriali, oggi è l’esasperazione, il verificare che tante lotte, tanti morti e martiri non sono serviti a niente (ancora oggi i feriti della rivoluzione e le famiglie dei morti non sono stati neppure riconosciuti dallo stato e nessuno percepisce sussidi o assistenza. Molti di loro sono in sciopero della fame da tempo, ndr) e anche il carico della pandemia, che del paese ha messo in luce i gravi problemi strutturali, a partire dal sistema sanità e dal welfare in generale.
E sono soprattutto i giovani a scendere in piazza: “Oggi -continua Alessia – la disoccupazione giovanile arriva al 40%, il debito pubblico è raddoppiato dal 2011 ad oggi, l’economia del paese è al collasso e la rabbia è tanta, soprattutto di una generazione che si sente tradita”. A dirci di più sulle manifestazioni in corso, Hamza Bouzwida, attivista tunisino e collaboratore di COSPE, “Dieci anni sono trascorsi senza cambiamenti e senza alternative sociali ed economiche. I giovani che sono scesi in piazza in queste ultime settimane si fanno chiamare la “generazione sbagliata” – al jil al khata -, giovani tra i 16 e i 20 anni, delle scuole, delle università, dei quartieri popolari. Ai giovani di al jil al khata va il merito di aver avuto il coraggio di riportare le persone in strada. La manifestazione di sabato scorso era carica di messaggi forti e simbolici per tutti i cittadini, siamo partiti dalla banca centrale, abbiamo raggiunto le famiglie dei martiri nel loro sit-in che sono l’anima della rivoluzione e abbiamo cercato di arrivare in avenue Habib Bourguiba, strada cardine di tutte le manifestazioni in Tunisia, e di riprenderci lo spazio pubblico”.
Ancora una volta le proteste arrivano dal basso, dalle periferie ai margini come il quartiere di Ettadhamen a Tunisi, e comunque fuori dalle logiche di partito: “La sinistra, sia radicale che riformista, è morta –commenta Patrizia Mancini, che coordina il sito di informazione Tunisia in Red- e anche i sindacati non sono più un punto di riferimento per molta popolazione. Il 55% dell’economia tunisina è informale e il blocco delle attività a causa delle misure di contenimento da covid, sta mettendo alla fame migliaia di persone che vivono di espedienti e lavoro nero”.
Anche in questo caso, come nel 2011, le proteste principali sono sorte dopo che un pastore è stato attaccato da agenti municipali a Siliana, nel nord-ovest della Tunisia, un’aggressione che ricorda quella subita da Mohammed Bouazizi a Sidi Bouzid, divenuto simbolo delle sommosse popolari in Tunisia del 2010-2011 dopo essersi dato fuoco per protestare contro le vessazioni subite e denunciare le condizioni invivibili nel Paese.
Oltre alle dure repressioni della piazza, dopo molto tempo si rivedono anche le condanne per reati connessi alla libertà di espressione: “Ahmed e Mohamed sono due ragazzi che sono stati arrestati per le loro dichiarazioni su facebook a favore delle manifestazioni – continua Hamza- arresti di questo tipo non le vediamo da anni e sono metodi polizieschi e repressivi dell’ancien regime, ma io ho fiducia nei movimenti di queste settimane -conclude Hamza Bouzwida,- e penso che abbiano il respiro e la forza per continuare a resistere perché la rivoluzione è un processo, è costruzione di alternative nel lungo periodo ed è chiaro che ci resta ancora tanto da fare dalla partenza di Ben Ali il 14 gennaio del 2011”.
Foto di Leyla Ben Mohamed
28 gennaio 2021