Casa Palestina: lockdown e Ramadam vissuti in un condominio popolare
Vivo a Ramallah in un palazzo di tre piani. 4 condomini e 4 microcosmi che raccontano meglio di tanti saggi cosa significa la vita ai tempi dell’emergenza Covid 19 in Palestina.
Al primo piano vive una famiglia: papà, mamma e quattro bambini che dal 5 marzo passano le giornate nel cortile davanti a casa a giocare prevalentemente a nascondino. Il Ministero dell’Istruzione Palestinese ha lanciato una forte campagna all’inizio di marzo per invitare tutte le studentesse e gli studenti (dalle scuole elementari all’università) a utilizzare i corsi messi a disposizione sulla piattaforma online “Rawafid” e sulla radio “Voice of education”. La radio il cui target erano in principio gli studenti della maturità, è stata aggiornata grazie all’aiuto dei docenti, per servire tutte le classi educative e diffondere contenuti per 12 ore al giorno. I video che vengono postati sulle pagine online della radio, possono essere salvati e guardati successivamente. E poi Zoom, Google Classroom, facebook whatsapp, qualunque piattaforma disponibile viene utilizzata per tentare di garantire un congruo livello di educazione. Nonostante tutto.
Ma, come accade anche in Italia, l’home-schooling non è accessibile a tutti. Non tutti hanno una connessione internet e non tutti hanno un computer. Prima i 4 bambini partivano tutte le mattine con i loro zainetti verso la scuola vicina. Ora nel cortile polveroso passano le giornate a rincorrersi, a volte cadono, si sbucciano le ginocchia. Parte qualche discussione, qualche pianto, consolato dagli stessi piccoli e via così. In Palestina quasi mezzo milione di bambini necessitano di assistenza umanitaria per accedere all’istruzione. Il prolungato conflitto e i frequenti episodi di violenza in Cisgiordania e Gerusalemme Est e la chiusura della Striscia di Gaza sono una minaccia costante per l’accesso all’istruzione dei bambini. I bambini palestinesi provano spesso angoscia, paura a causa delle intimidazioni che subiscono nel tragitto verso la scuola perché spesso devono passare attraverso i checkpoint o camminare vicino alle colonie. L’esposizione costante ai conflitti, le difficoltà economiche e l’aumento della povertà contribuiscono all’accettazione della violenza come norma sociale, che ha effetti nefasti soprattutto sui bambini.
Al piano di sopra vivono tre donne: mamma e tre figlie. Una di loro è un’insegnante e un’altra lavorava in un salone di bellezza, anche questo chiuso con il lockdown. Escono poco e solo di mattina, come me d’altronde. Le strade semi deserte aumentano la probabilità di aggressioni alle donne, a Ramallah come a Firenze e ovunque nel mondo. È proprio vero che le strade sicure le fanno le donne che le attraversano, come recita lo slogan di “Non Una Di Meno”, ma questo periodo ha dato conferma anche che la violenza e l’abuso restano terribilmente concentrate dentro casa.
L’organizzazione palestinese Women’s Center for Legal Aid and Counselling riferisce che nel mese di aprile gli interventi di supporto sociale e legale sono aumentati del 75% rispetto a marzo e il loro numero verde, per mezzo del quale forniscono un primo ascolto e consulenza ha ricevuto il 65% di chiamate in più. Sono principalmente le donne in città a chiamare e una netta maggioranza lamenta deprivazioni sociali ed economiche, violenza psicologica, minacce di morte e violenza fisica. L’organizzazione palestinese SAWA, rivela anche un aumento del 20% delle chiamate da parte di giovani e adolescenti che chiedono un sostegno psicosociale e psicologico per abusi da parte dei loro padri, madri, e fratelli a casa.
Non per tutte e tutti casa vuol dire quindi sicurezza e calore. Non per tutte è un posto in cui tornare e passare piacevolmente la giornata, magari a chiacchierare sui pianerottoli o a cantare nei balconi.
Nel mio palazzo però la musica è offerta comunque dalla palestra di fronte, che nonostante il lockdown, tutte le sere alle 18 invita gli abitanti della via a fare qualche esercizio a ritmo. Ed anche il cibo è occasione di socialità e scambio, anche e soprattutto in periodo di Ramadan.
In generale da quando è iniziata la quarantena è cominciato nel mio palazzo un via vai compulsivo di piatti deliziosi tra un piano e l’altro. Se si riceve qualcosa non si può restituire semplicemente il piatto pulito, bisogna rendere la gentilezza: allora basbusa in cambio di torte, falafel in cambio di pizza, Qatayef in cambio di biscotti. Adesso in periodo di Ramadan ci si rammarica dell’impossibilità dei ritrovi familiari allargati serali ma continua lo scambio condominiale. I bambini del primo piano, al canto serale del muezzin, cercano di abbassare la voce, si quietano per un po’ e poi parte la frenesia della preparazione e della consegna di qualche scambio di piatti nei pianerottoli. Li senti arrivare per le scale, di corsa, litigandosi per chi arriva e consegna a chi e poi bussare alle porte lasciate sempre aperte. Bussano, ti guardano sorridenti dal pianerottolo e poi via verso altri piani. E allora speriamo che domani riescano, computer e connessione permettendo, a fare qualche ora di lezione collettiva… e sennò tana libera tutti!!
20 maggio 2020