Libano: la rivoluzione dalla finestra. “Tutto cambia perché nulla cambi”.
28 gennaio 2020 – riprendono le cronache da Beirut a cura del nostro cooperante Federico Saracini.
Dopo quasi cento giorni di proteste e vacanza di governo, alla fine l’uomo nuovo Hassan Diab pare sia riuscito a trovare una quadra e presentare una squadra. Scusate il gioco di parole. Forse si inizia a vedere una lucina flebile in fondo al tunnel, tanto che anche la corsa al rialzo del cambio Lira Libanese verso Dollaro Americano si è arrestata, portando addirittura il consorzio degli uffici di cambio ad un accordo per mantenere un cambio fisso a 2000 Lire. Certamente peggiore dall’inizio della crisi, ma una mossa che dà qualche speranza al cittadino medio strangolato dal caro vita.
Economia a parte, nonostante la presentazione dei nuovi 20 ministri (2 in più rispetto al precedente governo), adesso c’è da vedere COME questo governo opererà. Creato sotto la spinta degli alleati sciiti Hezbollah e Amal – con l’usuale sostegno del partito cristiano Free Patriotic Movement – ha di fatto dato inizio ad una svolta anche nelle relazioni regionali, dove il filo-saudismo del governo Hariri lascerà il campo a qualcosa di nuovo (si legga Iran).
Certamente una nota positiva è la novità delle 6 donne Ministro, ben il 30% del totale. Diciamo che sulla carta il Primo Ministro Diab ci ha provato a dare un’idea di rinnovamento. Che però continua a non essere gradito da parte della piazza. Seppure sembri evidente una diminuzione dei partecipanti alle proteste – nonché dei blocchi stradali, piano piano scomparsi anche dagli aggiornamenti di GoogleMaps – le manifestazioni hanno tuttavia preso un risvolto violento. Nell’ultima decina di giorni a Beirut si sono avuti scontri che hanno portato ad arresti e ad un numero elevato di feriti (c/ca 500), anche a causa dell’uso spropositato di gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili di gomma da parte delle forze armate.
Insomma, la crisi sembra ancora lontana dall’essere risolta e di fatto il movimento nato per spingere ad un cambiamento di tutta classe politica non ha avuto come risultato che l’alternanza tra i soliti due campi che si contendono il potere sin dall’assassinio dell’ex Primo Ministro Rafik Hariri (2005): quello del cosiddetto 14 Marzo (Pro-Hariri, pro-occidente, anti-siriano e anti-iraniano); e il campo dell’8 Marzo (anti-Hariri, anti-occidentale, pro-siriano e pro-iraniano). Un esito sul quale la società civile rivoluzionaria dovrà interrogarsi nelle prossime settimane, identificando delle nuove strategie per ottenere almeno una parte di quel cambiamento di cui questo Paese ha veramente bisogno. Magari anche rinunciando all’aut aut sui negoziati con una classe politica odiata, ma che per adesso non sembra affatto intenzionata a mollare l’osso.
Ci aspettano altri giorni interessanti. E noi restiamo qui, spettatori da questa finestra fortunatamente ancora intatta.