Silvia e l’immaginario distorto dei volontari “cappuccetto rosso”.
Oltre a esprimere solidarietà a Silvia Romano, alla sua famiglia e Africa Milele, la onlus con cui la ragazza faceva volontariato, e a augurarci che torni a casa presto, ci tocca anche esprimere rammarico per come la vicenda sia stata ancora una volta usata, strumentalizzata o semplicemente travisata, non solo da anonimi “odiatori da tastiera” ma anche da giornalisti di fama.
C’è un immaginario distorto e sempre più culturalmente sdoganato, che avvolge il mondo della solidarietà, del volontariato e della cooperazione: se non sei un militare, ma vai in giro per il mondo a lavorare, prestare soccorso, ma anche a raccontare fatti, storie e guerre lontane, come nel caso dei giornalisti, sei uno o una che, se accade qualcosa di brutto, “se l’è andata a cercare”, sei qualcuno che si mette in pericolo di vita, per vezzo o per fare dispetto agli italiani tutti.
Perché, questo è l’argomento principe, “ci fai spendere un sacco di soldi”. Come se l’economia italiana fosse messa in crisi dal recupero di giornalisti o cooperanti inquieti e non da corruzione, mafia, spese militari etc…
“Oca giuliva”, “Tenetevela” sono i commenti più simpatici che oggi si trovano in rete, fino al carico da novanta del suddetto giornalista che, sebbene usata come figura retorica per carità (ma dopo il pezzo peggiora…), parla di “smania di altruismo”.
Ecco di fronte a tutto questo pensiamo ai tanti cooperanti italiani che con noi sono a lavorare in tutto il mondo accanto a colleghi locali o altri cooperanti stranieri e a come questa rappresentazione di tanti “cappuccetto rosso” sprovveduti non corrisponda al vero.
Stiamo infatti parlando di professionisti, di persone competenti nei loro ambiti, persone impegnate che hanno fatto del loro lavoro anche una scelta di vita. Come Silvia, molti di loro hanno cominciato con il volontariato, poi hanno continuato a specializzarsi, in Italia o all’estero e hanno deciso che “casa nostra” o “casa loro” non era importante e che volevano mettere a disposizione quelle competenze. Imparando tanto e riportando a casa tante cose in più e diverse di quando sono partiti.
E non parliamo anche qui di “sorrisi dei bambini”, della “semplicità delle genti”, dei “colori dei villaggi”, altri stereotipi unti e bisunti… no, non è affatto il mito del buon selvaggio, per fortuna, che spinge oggi giovani a mettersi in gioco e affrontare queste sfide. Ma la consapevolezza che ognuno secondo le proprie possibilità e aspirazioni, può fare un pezzo per migliorare, per crescere, per migliorarsi e migliorare il mondo i cui viviamo. Alla sede Caritas sotto casa come in un remoto villaggio del Kenya.
Oggi pensiamo a chi fa questi lavori e li ringraziamo, come ringraziamo Silvia. E ora vogliamo che torni a casa presto, “che il freddo qui si fa sentire”. Tanto freddo.