Afghanistan, un anno dopo. I Talebani oscurano i diritti della popolazione e le richieste di evacuazione aumentano.

Il 15 agosto 2021 i Talebani entravano a Kabul da vincitori e si riprendevano il Governo dell’Afghanistan a solo pochi mesi dall’uscita dal paese da parte delle forze armate Usa e degli alleati della Nato. Un evento, non del tutto imprevedibile ma molto più rapido di ogni pronostico, che ha messo in risalto la fragilità delle strutture democratiche messe in piedi in 20 anni di presenza militare occidentale.

Oggi, a un anno di distanza si cominciano a valutare i danni reali dopo i timori del primo periodo: l’economia del paese a pezzi, povertà diffusa, diritti negati, persecuzioni e ritorsioni verso gli oppositori (tra di loro tutti quelli che avevano collaborato con organizzazioni straniere, oltre ad attivisti, attiviste, minoranze, giornalisti e giornaliste indipendenti) e soprattutto verso le donne. La fame e l’insicurezza alimentare colpiscono oggi oltre il 90% delle donne capofamiglia, mentre il divieto della scuola secondaria ha colpito 1,2 milioni di ragazze nel Paese.

COSPE, che in Afghanistan ha lavorato dal 2008 al 2018 a fianco di donne e ragazze vittime di violenza, attiviste e attivisti impegnati per la promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, pur non avendo più progetti attivi quando i Talebani hanno riconquistato il Paese, si è subito impegnato ad organizzare l’ evacuazione di tutti gli ex collaboratori ed ex collaboratrici in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Difesa, portando in salvo 42 persone -tra cui le giocatrici della squadra femminile di calcio di Herat.

Oggi tutti loro proseguono con soddisfazione il percorso di inclusione gestito da Caritas in collaborazione con COSPE: frequentano corsi di italiano, i bambini e le bambine vanno a scuola, le ragazze di Herat hanno trovato squadre in cui allenarsi e proseguire i loro sogni di sportive.

Il bilancio però non è del tutto positivo: all’appello mancano ancora molti dei nostri collaboratori e molte delle famiglie delle persone che sono già arrivate in Italia. Purtroppo i corridoi umanitari promessi l’anno passato, sono partiti solo da un mese e in modo parziale.  Far uscire le persone che vivono con terrore il consolidarsi del potere talebano, è sempre molto difficile.

Tutti le organizzazioni della società civile in contatto con la realtà afgana ricevono costantemente richieste di assistenza alla fuga dall’Afghanistan, o all’uscita dai paesi di transito dove numerose famiglie, singoli attivisti e attiviste e persone oggetto di discriminazione per la loro condizione personale o professionale, sono costrette a rifugiarsi in attesa di partire. Dopo tante risorse spese per spostarsi al di fuori del proprio paese, i loro visti sono in scadenza, o scaduti, e le spese di mantenimento diventano insostenibili. Per molte e molti, la permanenza in questi paesi confinanti è un ulteriore fattore di rischio per la presenza di organizzazioni fondamentaliste legate, o meno, al governo talebano, o per la prassi sempre più diffusa dei rimpatri.

Le organizzazioni che hanno siglato l’accordo con il Ministero degli Interni per i corridoi umanitari, e le ONG, che come COSPE, siedono al tavolo Afghanistan del Ministero Affari Esteri, hanno segnalato da tempo la necessità di allargare il numero di persone da accogliere.

Nelle liste congiunte delle ong italiane attive in Afghanistan ci sono 1200 persone in attesa di uscire dal Paese e a rischio della vita. Numeri irrisori se pensiamo alla risposta che è stata giustamente data all’emergenza profughi dall’Ucraina.

Molte persone a rischio di minacce e persecuzioni sono in attesa di essere evacuati e salvati da una situazione sempre più invivibile e invisibile. Purtroppo dopo il clamore mediatico e l’onda di solidarietà che aveva travolto il popolo afgano l’estate scorsa, come era prevedibile, le luci sull’Afghanistan si sono affievolite e poi con l’inizio della guerra in Ucraina, del tutto spente.

Nel frattempo la situazione, lontano dall’opinione pubblica internazionale, continua a precipitare soprattutto per le donne, particolarmente a rischio della vita ed esposte a violenze fisiche e psicologiche.  Dopo vent’anni di lotta e di conquiste (la costituzione post-talebana del 2004, aveva ampliato i diritti delle donne di andare a scuola, votare, lavorare, servire nelle istituzioni civiche e protestare. Nel 2009, per la prima volta nella storia del paese, le donne si candidavano alla presidenza ndr), oggi sono state totalmente private di diritti e della libertà conquistati.

Le scuole e le università sono state chiuse e negate alle ragazze riportando indietro il livello di istruzione femminile che dal 2003 al 2017 era notevolmente migliorato considerando l’aumento dell’iscrizione delle bambine alla primaria dal 10% al 33% secondo il rapporto del Brookings Institute.  Il regime ha inoltre sciolto il ministero degli Affari femminili e lo ha trasformato in un’entità di polizia religiosa che ha il compito di attuare le nuove regole talebane. 

Per tutto questo, grazie alla campagna di raccolta fondi #unasolasquadra, promossa nel febbraio 2022, COSPE si è mosso e si sta muovendo a diversi livelli: sostiene i percorsi di formazione di quanti arrivati in Italia, continua a chiedere l’ampliamento dei corridoi umanitari presso gli organi competenti e finanzia la riattivazione in Afghanistan delle case rifugio e delle scuole per le bambine.  Attraverso Hawca (Humanitarian Assistance for the Women and Children of Afghanistan) storico e affidabile partner di COSPE, è infatti possibile garantire l’attivazione di piccole scuole clandestine di quartiere e la protezione a insegnanti e bambine che le frequentano. Attualmente sono 120 ragazze tra i 7 e i 18 anni divise in 4 classi che si tengono nelle case delle insegnanti. Le insegnanti sono 6 per le seguenti materie: Chimica, Matematica, Biologia, Fisica, Inglese, Informatica.  La campagna ha finora sostenuto 8 mesi di lezioni, garantendo lo stipendio delle insegnanti e la protezione delle loro case e delle bambine che le frequentano.

Perché dopo aver perso ogni diritto, non perdano la possibilità di costruire e continuare a sognare un futuro.