Perché il governo israeliano accusa le ONG palestinesi e perché è giusto opporsi

Il 19 ottobre 2021 il Ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha incluso sei organizzazioni palestinesi nella lista delle “organizzazioni terroristiche”. Lo ha fatto facendo uso dei poteri che gli conferisce la “counter terrorism law” israeliana del 2016.

Fin qui tutto chiaro. Poco chiare, invece, sono le modalità di definizione di terrorismo della legge stessa, e le conseguenze ditale classificazione sulla società civile palestinese e sulla possibilità del popolo palestinese di esercitare i propri diritti e muoversi nello scenario internazionale.

Tentiamo di fare chiarezza allora. L’etichetta di organizzazioni terroristiche è stata affibbiata sulla base di un articolo della legge che prevede che possono essere definite terroristiche anche quelle organizzazioni che agiscono “direttamente o indirettamente, per assistere un’organizzazione [terroristica] o che agisce con l’intento di promuovere l’attività di tale organizzazione, anche finanziandola”. In sostanza, quello che viene imputato a queste sei organizzazioni non è di compiere direttamente atti terroristici, ma di appoggiarli in un modo non meglio provato o specificato dal governo israeliano. La prova di un simile appoggio indiretto, invece, dovrebbe essere assolutamente solida, ma proprio questo elemento manca, ed è per niente chiaro, nella stessa legge.

Prova ne sia che l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune dell’UE, Josep Borrell, ha dichiarato che le sei organizzazioni incriminate sono inserite nei programmi di finanziamento dell’Unione europea e che, ad oggi, il Governo di Israele non ha ancora fornito alcun tipo di risposta convincente circa l’operato di matrice terroristica delle ONG. Ancora, l’Alta Commissaria per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, ha definito tale accusa una violazione delle libertà di associazione, di opinione, di espressione e di partecipazione attiva alla vita pubblica. A livello internazionale, già Francia, Regno Unito e perfino gli Stati Uniti, da sempre solidi alleati dello Stato di Israele, si sono uniti al coro dei dubbiosi.

L’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo da anni finanzia progetti che vengono attuati fianco a fianco da organizzazioni italiane e palestinesi e il Governo Italiano ha tutto l’interesse a capire come mai, in modo alla fin fine nemmeno tanto velato, viene accusato da Israele di finanziare organizzazioni terroristiche.

Ecco che, il 30 novembre scorso, la Viceministra degli esteri Marina Sereni ha espresso la preoccupazione del Governo per la decisione presa dal Ministro della Difesa israeliano e precisato che, “oltre a svolgere una fondamentale opera nei Territori Palestinesi, alcune di queste organizzazioni intrattengono fruttuosi rapporti con le nostre organizzazioni della società civile e con altri Paesi donatori per l’attuazione di importanti progetti di cooperazione”.

Nel tentativo di vederci più chiaro rispetto a queste decisioni unilaterali di Israele, sono stati invitati a parlare dinanzi al Comitato permanente sui Diritti Umani nel mondo della Camera dei Deputati, Shawan Jabarin, direttore generale di AlHaq e Francis Sahar, direttore di Addameer, due delle 6 ONG designate da Israele come terroristiche e fuori legge.

A fronte di questa legittima iniziativa del Parlamento italiano, l’ambasciata israeliana a Roma si è dichiarata “scioccata dal fatto che un terrorista condannato e due organizzazioni terroristiche come ‘Al-Haq’ e ‘Addameer’, entrambe parte dell’organizzazione terroristica ‘Fronte popolare per la liberazione della Palestina’ (“FPLP”), siano state formalmente invitate a parlare davanti alla sottocommissione per i diritti umani della Camera dei deputati, presieduta dall’onorevole Boldrini“.

L’Onorevole Laura Boldrini è tra le poche voci istituzionali che si sono udite in risposta al risentimento immotivato dell’ambasciatore israeliano e che hanno reclamato forte e chiara la possibilità di non affidarsi solamente alle accuse e ricostruzioni unilaterali dello Stato di Israele.

Anche la viceministra Sereni, rileva in proposito che “Quanto al Signor Shawan Jabarin, Direttore Generale di Al-Haq, definito nella nota dell’ambasciata un “terrorista condannato”, si tratta di una persona che vive liberamente a Ramallah e che altrettanto liberamente viaggia per svolgere incontri di natura istituzionale, come ha fatto anche di recente, nelle diverse Capitali europee e non soltanto europee. Se fosse condannato per terrorismo in Israele non godrebbe certamente di questa libertà. In riferimento poi all’accusa rivolta ad Addameer di aver esercitato la legale difesa di un terrorista, ricordo che nel diritto internazionale così come in tutte le Costituzioni dei paesi democratici il diritto alla difesa è un principio inviolabile di tutte le persone, a prescindere dal reato che viene loro contestato”. Parimenti, in Italia, paese democratico, definiremmo assassini tutti gli avvocati che difendono imputati accusati di omicidio?

A che scopo, allora, questa escalation da parte del Ministero della Difesa israeliano contro delle organizzazioni che sono per lo più di giuristi e attivisti per i diritti delle donne e dei giovani?

La risposta risiede nelle conseguenze che comporta l’inclusione delle ONG in tale categoria: cessazione delle attività dell’organizzazione, possibilità di sequestro dei beni e, soprattutto, impossibilità di fare ricorso a finanziamenti internazionali. A tutto ciò si affianca il rischio per i dirigenti ed i collaboratori di andare incontro a gravi incriminazioni, tutte munite di pene pesantissime.

Una considerazione finale andrebbe fatta sulla tempistica della decisione israeliana che arriva poco dopo la statuizione del 5 febbraio 2021 della Corte Penale Internazionale circa la propria competenza ad avviare le indagini sui crimini perpetrati da Israele nei territori occupati palestinesi. Alcune delle organizzazioni definite terroriste, Al Haq in primis, hanno portato elementi fondamentali a sostegno di questa storica decisione della CPI, accolti proprio in virtù del prestigio, della credibilità, del riconoscimento e dello status di cui godono presso le istituzioni internazionali. Quindi, non si può fare a meno di dubitare che l’azione del governo israeliano nei confronti delle sei organizzazioni, si inserisca in una più ampia e strenua strategia di depotenziamento del dissenso, di diffamazione nei confronti della società civile democratica in Palestina, di oscuramento delle proprie infrazioni dei diritti umani e del diritto internazionale, e di continua ripulitura del proprio agire dinanzi all’opinione pubblica interna ed internazionale.

 

13/01/2022