“La testimonianza di Sebastiao”, secondo appuntamento per la campagna AMAzzonia.
Secondo appuntamento con il racconto a puntate realizzati per COSPE dallo scrittore Angelo Ferracuti e dal fotografo Giovanni Marozzini. Da settembre Angelo e Giovanni, testimonial della Campagna AMazzonia COSPE, hanno intrapreso un viaggio in barca che da Manaus (Brasile) arriverà alle sorgenti del Rio Vaupés (Colombia), dopo 2000 chilometri di navigazione con la barca Amalassunta e il loro progetto “una barca per una scuola in Amazzonia”.
Si tratta di un viaggio per raccontare i popoli nativi, alcuni dei quali in via di estinzione, minacciati da taglialegna, cercatori d’oro, multinazionali. Un progetto che COSPE sostiene e che ci aiuterà a dare voce e volti ai protagonisti della campagna i popoli della foresta.
Vicino all’ultima casa del villaggio incontro Sebastiao, un piccolo uomo con un cappello di paglia in testa simile a quelli dei vietcong, occhiali dalla montatura nera e la barba rasata di fresco, una maglietta militare mimetica, dell’Associazione degli Abitanti del Fiume Unini – AMORU. Mi spiega che prima ancora che ci fosse la Riserva estrattiva hanno creato un’associazione, era poco dopo la caduta della dittatura militare, nel 1995. “Il governo ci voleva mandare via, dicevano che in un parco non doveva viverci nessuno, dovevamo andarcene di qui”. Ma loro hanno resistito, quella della Riserva è stata una necessità, e hanno approfittato di una legge dello Stato sui Resex, terre di pubblico dominio concesse per l’uso delle popolazioni estrattive tradizionali con l’obiettivo di proteggere i mezzi di vita e cultura di queste popolazioni e garantire lo sfruttamento sostenibile delle risorse naturali.
“Il nostro è un modo di vivere che conserva la foresta, viviamo raccogliendo quello che la natura ci dà, piantiamo manioca, banane, ananas e facciamo la raccolta controllata del pesce, preservando le specie protette”. Ancora oggi hanno come punto di riferimento Chico Mendes, il sindacalista leader dei seringueiros, “ha lottato per la biodiversità e per il popolo” dice Sebastiao compenetrato, lo sguardo fiero, non nascondendo una certa commozione.
Loro si sentono i guardiani, i custodi di questa foresta, racconta, “raccogliamo solo quello di cui abbiamo bisogno per vivere, la curiamo, ripiantiamo quando è necessario, invece i fazenderos e le aziende dell’agro business distruggono la natura per fare gli allevamenti intensivi, per allevare bestiame”. Qui vivono 19 famiglie, una sessantina di persone, “ogni famiglia lavora per sé, ma una parte dell’attività agricola è collettiva, come quando si deve piantare o pulire il terreno, quello lo facciamo insieme”, il modello è partecipativo. Adesso possono pescare solo per mangiare e non per vendere, dopo che alcuni pescatori abusivi sono venuti qui, la polizia federale ha aperto una inchiesta, prima vendevano il pesce al margine del Rio Negro. Dice che dopo la pandemia le cose sono peggiorate, l’inflazione è molto alta e non riescono più a mantenersi con il proprio lavoro”.