Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale

Il 21 marzo si celebra la Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale, un appuntamento che richiama la strage di Sharpeville del 1960 in Sudafrica, quando la polizia del regime dell’apartheid uccise 69 manifestanti neri che protestavano pacificamente contro le leggi razziali. È una data che per COSPE ha un significato profondo: la nostra organizzazione nasce nel 1983 proprio all’interno dei comitati italiani anti-apartheid, un’esperienza di mobilitazione civile e politica che ha dimostrato come la lotta contro il razzismo non sia mai una battaglia solo locale, ma sempre globale.

Negli anni, abbiamo fatto del contrasto alla discriminazione razziale un pilastro del nostro impegno, sia nei contesti internazionali in cui operiamo, sia nel dibattito pubblico italiano ed europeo. Oggi, più che mai, sentiamo la necessità di riaffermare questo impegno, perché le forme di segregazione, esclusione e violenza razziale si moltiplicano in nuove configurazioni, dai confini militarizzati del Mediterraneo ai muri fisici e simbolici eretti per separare i “noi” dai “loro”.

 

Come affermava Mandela, la lotta contro il razzismo non è mai solo distruzione di un sistema oppressivo, ma costruzione di una società più giusta.

Questa eredità è più attuale che mai di fronte alle politiche che alimentano la disumanizzazione, la normalizzazione delle disuguaglianze e la persistenza di sistemi di apartheid.

Se il concetto di apartheid è storicamente legato alla segregazione razziale istituzionalizzata del Sudafrica, oggi numerosi esperti e organizzazioni per i diritti umani riconoscono che forme di apartheid si riproducono in diversi contesti. Organizzazioni come Amnesty International, Human Rights Watch e il centro israeliano B’Tselem hanno documentato come lo Stato di Israele abbia messo in atto politiche che costituiscono apartheid nei confronti dei palestinesi. La frammentazione territoriale, il controllo della mobilità, la discriminazione giuridica e la repressione violenta delle proteste civili sono tutti elementi che riproducono schemi di segregazione e gerarchizzazione razziale. Decolonizzare lo sguardo significa riconoscere questi meccanismi e schierarsi contro di essi, senza ambiguità, come abbiamo fatto per il Sudafrica.

Il Mediterraneo è diventato una frontiera dell’umanità, dove la vita di alcuni vale meno di quella di altri. Il naufragio non è un incidente, ma la conseguenza di politiche che deliberatamente impediscono l’accesso sicuro a chi fugge da guerre e persecuzioni o semplicemente a chi vuole studiare o lavorare anche per brevi periodi in un paese europeo o del nord globale. L’Unione Europea, attraverso accordi con paesi terzi come la Libia e la Tunisia, finanzia direttamente sistemi di detenzione e tortura che colpiscono persone nere e migranti provenienti dal Sud globale. Questo sistema di respingimenti, chiusure e violenze non è che una nuova forma di apartheid, che istituzionalizza la separazione tra coloro che hanno diritto alla mobilità e chi no.

In Italia, il razzismo non è solo una questione di episodi di intolleranza o di odio esplicito. È un sistema che permea le politiche migratorie, l’accesso alla cittadinanza, il mercato del lavoro e le istituzioni.
Il razzismo strutturale si manifesta nella precarietà a cui sono condannati migliaia di lavoratori migranti, nell’ostacolo a riconoscere la cittadinanza a chi è nato e cresciuto in Italia, nella violenza della repressione contro i braccianti che rivendicano diritti basilari.

Per costruire una società più giusta, quella di cui parlava Mandela, oggi più che mai, abbiamo bisogno di recuperare una visione comune, capace di connettere le lotte per la giustizia sociale e climatica, contro la militarizzazione delle frontiere e le nuove forme di colonialismo economico. La storia ci insegna che i sistemi di segregazione possono essere abbattuti. Ma per farlo, serve una mobilitazione collettiva che vada oltre la denuncia e costruisca alternative concrete.

Nelson Mandela ha vinto la sua battaglia perché milioni di persone in tutto il mondo hanno scelto di non restare in silenzio. Oggi, di fronte alle nuove forme di apartheid e discriminazione, abbiamo lo stesso dovere: alzare la voce, costruire ponti, rivendicare giustizia. Il razzismo non è un destino inevitabile, ma un sistema che può e deve essere smantellato. La storia ci insegna che cambiare è possibile, se scegliamo di agire insieme.