COSPE: in piazza, ma per quale Europa? Una riflessione sul piano ReArm e l’Europa che vogliamo.
Alla vigilia del vertice straordinario dei leader europei convocato da Ursula Von der Leyen per giovedì prossimo per un primo confronto sul piano ReArm Europe, e a pochi giorni dalla convocazione di “una piazza per l’Europa” il prossimo 15 marzo, è doveroso per la società civile fermarsi a riflettere e porre all’attenzione alcuni punti fondamentali del significato del patto, della manifestazione e soprattutto dell’Europa che vogliamo. Di seguito l’intervento di Anna Meli, presidente di COSPE.
L’Europa di Von der Leyen, del piano di riarmo da 800 miliardi, della militarizzazione del linguaggio e dell’economia come massima priorità e unico frame narrativo, del “prepariamoci alla guerra” come principale elemento di coesione tra Stati, del “ci vorrebbe un’atomica col bollino UE” non è l’Europa per cui vorremmo scendere in piazza. Non è l’Europa che vogliamo consegnare alle prossime generazioni. Non è la nostra Europa.
Il piano europeo ReArm Europe, formalmente presentato dalla presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, propone (di nuovo) un’Europa che insegue l’agenda statunitense, senza alcuna considerazione del multilateralismo, delle alleanze alternative, del ruolo Onu e della diplomazia internazionale. I suoi contenuti sono tragici per almeno quattro ragioni.
1. Un’Europa che si prepara alla guerra o un’Europa che costruisce la pace?
Il principio ispiratore di questo Piano è chiaro: l’Europa si sta attrezzando per un conflitto, destinando una parte sempre più ampia della spesa pubblica e dei capitali privati al riarmo. La narrazione dominante vuole che essere armati sia l’unico vero deterrente contro la guerra, un modello che la storia ha già dimostrato fallimentare. In questo scenario, ogni spazio di mediazione, confronto e diplomazia viene annullato in favore di una logica di schieramenti contrapposti, che ignora il ruolo del dialogo e della prevenzione dei conflitti. Ma quale Europa vogliamo? Quella che rilancia una folle corsa al riarmo o quella che avvia un negoziato globale per la pace e la giustizia sociale?
2. Un’Europa che finanzia la guerra o il benessere dei suoi cittadini?
La Commissione europea si dice pronta a rimuovere i vincoli del Patto di stabilità solo per il riarmo. Se gli Stati membri aumenteranno di almeno l’1,5% del loro PIL la spesa militare, potranno farlo senza restrizioni di bilancio. Questo privilegio non viene invece concesso alla sanità pubblica, alla lotta alle disuguaglianze, all’istruzione, alla transizione ecologica. Le priorità di investimento rivelano una scelta politica precisa: la militarizzazione delle economie viene anteposta alle esigenze sociali e ambientali dell’Unione. Quale Europa vogliamo? Quella dei diritti sociali o quella dei signori della guerra?
3. Un’Europa che incentiva la speculazione finanziaria sulla guerra o che investe nel futuro?
Il piano ReArm Europe invita a creare un mercato unico dei capitali per favorire la finanziarizzazione dell’industria bellica, coinvolgendo attori come la Banca Europea degli Investimenti e i grandi fondi d’investimento internazionali. Si incentiva così la speculazione sui titoli delle aziende di armamenti, rischiando di generare una bolla speculativa che metterà in crisi l’economia reale e approfondirà ulteriormente le disuguaglianze all’interno dell’Unione e rallenterà, se non bloccherà, lo sviluppo secondo i parametri dell’agenda 2030, a cui si lavora da decenni.
Ma l’Europa che vogliamo è quella che fa prevalere le criminali politiche neoliberiste sulla giustizia sociale, climatica e di genere o quella che vuole dare piena attuazione agli obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030?
4. Un’Europa che smantella la cooperazione internazionale a favore del riarmo?
Un altro aspetto allarmante della politica europea attuale è il progressivo smantellamento dei fondi destinati alla cooperazione internazionale per finanziare la corsa agli armamenti. In diversi paesi europei, i governi hanno ridotto significativamente gli stanziamenti per la cooperazione, influenzati dall’ascesa di movimenti nazionalisti e populisti che spostano le priorità su sicurezza, difesa e gestione della migrazione, a discapito di un approccio solidale e multilaterale.
Paesi come Paesi Bassi, Belgio, Regno Unito, Francia, Germania, Svizzera e alcune nazioni nordiche hanno attuato tagli drastici alla cooperazione, riducendo gli aiuti umanitari, i fondi per i diritti umani e il sostegno allo sviluppo sostenibile. In alcuni casi, come nei Paesi Bassi, i fondi vengono ridestinati unicamente a programmi che favoriscano gli interessi nazionali, cancellando il sostegno a tematiche come i diritti delle donne, l’uguaglianza di genere, la cultura e il clima.
Questo trend è aggravato da una narrazione globale che, da Trump a Musk, sta legittimando una visione transazionale degli aiuti, trattandoli come merce di scambio invece che come una responsabilità globale della colonizzazione e delle logiche estrattiviste neoliberiste. L’Europa si sta quindi allontanando dalla sua storica vocazione di attore civile e promotore di soft power, per trasformarsi in una macchina da guerra economica e finanziaria, con una visione subalterna e miope rispetto alla realtà mondiale, assai più complessa della rinnovata politica USA di aggressione e controllo.
L’Europa deve tornare ad essere un progetto di pace e giustizia
Dobbiamo recuperare lo spirito di Ventotene, lo slancio pionieristico dei Padri Fondatori, che seppero mettere da parte le ostilità della guerra per costruire un progetto capace di coniugare pace, democrazia, diritti, sviluppo e uguaglianza. L’Europa che vogliamo ripudia la guerra, è fondata sulla dignità umana e sui diritti fondamentali, sulla democrazia, l’uguaglianza e la solidarietà.
Il futuro della sicurezza europea non può essere affidato a una corsa al riarmo senza visione. Vogliamo un sistema di sicurezza comune basato sul disarmo, la diplomazia e i diritti umani. L’Europa deve tornare ad essere il grande esperimento di pace e convivenza che era nella sua origine. Nessuno ha il diritto di cancellarne la missione storica.
5 marzo 2025