Presentato il dossier statistico sulla immigrazione 2024. La fotografia di un’Italia poco inclusiva.
Presentata a Roma e in contemporanea in altre diverse città italiane, tra cui Firenze, la 34ª edizione del Dossier Statistico Immigrazione, realizzata dal Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione con il Centro Studi Confronti e l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”. Un documento che annualmente offre una panoramica aggiornata sull’immigrazione in Italia, basata sui dati statistici e inquadrata nel contesto internazionale.
Il dossier, a partire da uno scenario internazionale, scende nell’analisi di quello europeo e approfondisce quello italiano, presentando dati e indagini approfondite sul mercato del lavoro, sulle politiche dell’accoglienza e sull’incidenza di povertà e discriminazioni su popolazione straniera. Restituendo una fotografia abbastanza fosca sulla composizione sociale italiana (una parte della popolazione deprivata e povera a basso tasso di inclusione), l’arretratezza delle politiche (in materia di accoglienza, di inserimento al lavoro, di diritto all’istruzione e alla sanità, alla casa, assegni di sostegno etc..) con evidente danno per la popolazione straniera residente ( comprese le nuove generazioni).
Qui di seguito alcuni dati e in allegato il dossier completo e una scheda di sintesi per approfondire i singoli contenuti.
Situazione internazionale
Tra i dati messi in rilievo dal dossier spicca quello dell’incidenza dei migranti internazionali: nel 2023 circa 300 milioni di persone risiedono in un Paese diverso da quello di nascita (3,6% della popolazione planetaria), mentre 183 milioni possiedono effettivamente una cittadinanza straniera (2,3%).
Secondo proiezioni attendibili, si calcola che entro il 2050 la popolazione mondiale passerà da 8,1 a 9,7 miliardi, con un incremento di circa 859 milioni di persone in età lavorativa. Ma questa crescita sarà distribuita in modo disomogeneo, con un calo di forza lavoro nei Paesi sviluppati e un innalzamento nei Paesi in via di sviluppo.
Nel frattempo, il numero di migranti forzati è aumentato notevolmente, passando da 20 milioni del 2000 a 117,3 milioni di fine 2023, di cui 68,3 milioni sono sfollati interni, 38,5 milioni sono richiedenti asilo e titolari di protezione, 6 milioni sono rifugiati palestinesi del 1948 e loro discendenti sotto mandato di Unrwa (di cui 1,2 milioni sono abitanti di Gaza, che le fonti conteggiano anche come sfollati interni) e 5,8 milioni sono venezuelani sfollati all’estero senza possibilità di richiedere asilo per l’entità massiva del flusso. Inoltre, a fine anno erano 7,7 milioni gli sfollati interni per disastri ambientali, non ricompresi tra i migranti forzati.
Di questi ultimi la Siria è il principale Paese di origine, con 13,8 milioni tra sfollati interni e all’estero, seguita da Afghanistan (10,9 milioni) e Sudan (10,8 milioni). Quarta è l’Ucraina, che a fine 2023 conta 9,7 milioni di profughi, di cui quasi 4,3 milioni hanno ottenuto protezione temporanea nell’Ue.
Le principali cause delle migrazioni
La diseguale distribuzione delle risorse continua a essere tra le principali cause delle migrazioni: il Nord del mondo, con solo 1,4 miliardi di abitanti (un sesto della popolazione globale), detiene quasi la metà del Pil mondiale, mentre al Sud, con 6,7 miliardi di abitanti, spetta il restante 53,4%.
Un ruolo compensatorio è svolto dalle rimesse inviate nei Paesi a basso e medio reddito, che nel 2023 hanno raggiunto i 656 miliardi di dollari Usa, contribuendo a oltre il 2% del Pil dei Paesi di origine, considerando anche i canali informali. In Italia le rimesse inviate dai migranti ammontano a 8,2 miliardi di euro (-0,4%: primo calo dopo quasi un decennio di continua crescita).
Si legge inoltre nel dossier: “Le nuove prospettive di cooperazione allo sviluppo annunciate dal “Piano Mattei”, teoricamente miranti a un partenariato con i Paesi africani basato su pari dignità e reciproco beneficio, rischiano di anteporre l’obiettivo di limitare l’immigrazione e garantire la sicurezza energetica all’effettivo miglioramento ambientale e socio-economico dei Paesi di origine dei flussi”.
La risposta dell’Europa
In questo quadro internazionale, la risposta dei paesi UE è stata quella di intensificare le misure di deterrenza verso i migranti, costringendoli a percorrere rotte irregolari e pericolose, con un conseguente aumento delle morti e delle violazioni dei diritti umani.
Il nuovo Patto europeo su migrazione e asilo, approvato dal Consiglio Ue nel dicembre 2023 e dal Parlamento Ue nell’aprile 2024, accentua la chiusura verso i profughi del Sud del mondo, in un quadro, anche istituzionale, in cui l’idea che l’immigrazione sia una minaccia alla sicurezza ne oscura perfino l’importanza, spesso irrinunciabile, per le economie europee. Le parole d’ordine sono: chiusura, respingimenti, esternalizzazione delle frontiere e respingimenti.
Nonostante alcune innovazioni, come la solidarietà obbligatoria tra Stati membri nella redistribuzione dei richiedenti asilo (assolvibile anche pagandone in denaro – 22mila euro a testa – la mancata accoglienza), introdotta a parziale compensazione della mancata riforma del Regolamento di Dublino, l’approccio rischia di avere gravi conseguenze umanitarie, sfiorando una forma di “necropolitica” con cui si stabilisce chi ha diritto alla vita e chi no
Le rotte più battute restano il Mediterraneo centrale (42,2%) e i Balcani occidentali (25,7%), sebbene rispetto al 2022 siano diminuiti gli arrivi lungo quest’ultima (-31,3%) e aumentati quelli dal Mediterraneo centrale (+54,1%), orientale (+57,9%) e dall’Africa occidentale (+156,6%), diventata la rotta più letale al mondo con 6.618 morti nel 2023.
In tutto il Mediterraneo (anch’esso interessato da disastrosi cambiamenti climatici, con un riscaldamento superiore al 20% della media globale) dal 2014 ad agosto 2024 i morti e dispersi accertati sono stati oltre 30.294, di cui 3.155 solo nel 2023 e già altri 1.390 nei primi 8 mesi del 2024. Ma probabilmente altrettante sono state le vittime di naufragi non intercettati. Tra il 2023 e agosto 2024 sono invece 608 le morti accertate durante l’attraversamento del Sahara.
A inizio 2023 i cittadini stranieri regolarmente residenti nell’Ue sono 41,4 milioni (9,2% della popolazione), di cui 14 milioni provenienti da Paesi dell’Unione. Oltre i due terzi risiedono in Germania (12,3 milioni), Spagna (6,1 milioni), Francia (5,6 milioni) e Italia (5,1 milioni). Considerando anche i nati all’estero e i naturalizzati, le persone con background migratorio salgono a 60 milioni
La situazione italiana
Ma vediamo la situazione italiana: dopo la pandemia di Covid e i suoi effetti contrattivi, le persone straniere residenti in Italia sono tornate a crescere: sono 5,3 milioni a fine 2023 secondo il dato provvisorio dell’Istat (+166mila in un anno), il 9,0% della popolazione complessiva.
In Italia le prime quattro nazionalità di origine dei migranti sono la rumena, l’albanese, la marocchina e la cinese. Segue l’Ucraina con un’evidente impennata tra il 2021 e il 2022.
Negli ultimi anni, la gestione dei canali di ingresso per lavoro ha conosciuto alcuni recenti cambiamenti, nelle intenzioni finalizzati a rispondere alle esigenze di manodopera del Paese e ad arginare gli inserimenti irregolari: la semplificazione di alcune procedure, il ritorno alla programmazione triennale dei flussi e l’ampliamento delle quote di ingresso (452mila nel triennio 2023-2025). Permane, però, un evidente scarto tra le quote stabilite dai Decreti flussi, le istanze presentate e le pratiche effettivamente concluse con il rilascio di un permesso di soggiorno.
Urge l’esigenza di ripensare l’intero sistema a partire da canali di ingresso e modalità di inserimento lavorativo più aperti e flessibili, politiche che evitino il rischio di cadere nell’irregolarità, meccanismi continuativi di emersione che valorizzino i pregressi percorsi di integrazione e un collegamento strutturale del mercato del lavoro con le politiche di accoglienza e asilo.
In un contesto globale sempre più instabile e violento, la carenza di vie di fuga sicure porta all’aumento dei flussi non programmati, composti in larga parte da persone in cerca di protezione.
Le rotte che passano per l’Italia corrono principalmente lungo il Mediterraneo (158mila persone sbarcate nel 2023, +50% in un anno, di cui 17mila minori non accompagnati) e i Balcani occidentali (12mila arrivi segnalati).
Gli accordi italiani con paesi terzi
A febbraio 2023 l’Italia ha rinnovato per la sesta volta il Memorandum d’intesa con la Libia, nonostante le prove inconfutabili che le torture, le violenze, “il contrabbando, la tratta, la riduzione in schiavitù, il lavoro forzato, la detenzione e l’estorsione di migranti hanno generato entrate significative per individui, gruppi armati e istituzioni statali” (Ohchr). A luglio 2023 l’Ue ha firmato un analogo accordo con la Tunisia (principale Paese di partenza delle persone sbarcate in Italia in quell’anno: 62%), incurante che le autorità locali sono accusate di “pogrom” nelle strade e deportazioni in zone desertiche.
Inoltre, a seguito dell’obbligo di raggiungere il porto assegnato senza ritardi, del connesso divieto di operare salvataggi multipli e della “prassi dei porti lontani”, nel 2023 le navi umanitarie hanno perso 374 giorni di permanenza nell’area operativa, cui si sommano quelli passati in fermo amministrativo. Di conseguenza, hanno salvato e fatto sbarcare neanche 9mila persone, meno del 6% del totale (contro circa il 10% del triennio precedente), a riprova di quanto mendace sia la connotazione, loro attribuita, di pull factor. Nello stesso anno la guardia costiera italiana ha soccorso quasi 107mila migranti. Oltre 1.000 sbarchi, però, sono stati classificati come operazioni di polizia invece che come eventi di soccorso, causando confusione, ritardi ed esiti nefasti, come accaduto nel naufragio di Cutro.
L’estensione della procedura accelerata di frontiera ai migranti originari di Paesi cosiddetti “sicuri” (la cui lista, in continuo aggiornamento, include l’80% degli Stati di provenienza, compresi casi discutibili come ad es. Tunisia, Bangladesh, Egitto e Nigeria) rischia di compromettere il diritto a un adeguato esame individuale e di applicare la cupa prassi della detenzione amministrativa a quasi tutti i richiedenti asilo, adottando decisioni sommarie in base alla mera nazionalità.
Su questa linea, a novembre 2023 è stato siglato un Protocollo di intesa con l’Albania, che inaugura l’extra-territorializzazione dell’esame delle domande e della contestuale detenzione.
In questo scenario, suggerisce il dossier, andrebbe invece valorizzata la maggiore sostenibilità ed efficienza di soluzioni già sperimentate, come quelle adottate con i profughi dall’Ucraina in protezione temporanea o con i corridoi umanitari (quasi 10mila beneficiari dal 2015): buone prassi che restano relegate nel perimetro dell’eccezione e non si traducono in policy ordinarie.
Conclusioni
In un contesto in cui la popolazione di origine straniera integra e arricchisce, con i suoi portati specifici, il tessuto sociale, culturale ed economico del Paese, appare sempre più urgente affrancare le questioni migratorie da distorsioni, strumentalizzazioni e approcci ideologici, per promuovere politiche di valorizzazione e sviluppo di una società aperta, plurale, coesa e quanto più partecipata. Il Dossier Statistico Immigrazione si offre come uno strumento di conoscenza per tutti coloro che sono impegnati a raggiungere questo obiettivo.